Interviste

La poesia secondo Giuseppe Mantovani

Scritto da Maria

“In principio c’è la poesia. Dopo l’altra scrittura. In principio c’è la voce della percezione e del magma del pensiero; solo dopo può farsi sentire la voce della ragione e dell’intelletto”: questo è quanto di legge della poesia sulla quarta di copertina di Codici apparenti (Opposto edizioni), la raccolta poetica di Giuseppe Mantovani, presentata nell’area Incubatori della Fiera del libro di Torino. Con l’autore abbiamo parlato di poesia, per capirne il futuro.

Chi è Giuseppe Mantovani e perché la sua poesia è principio?

Sono nato a Mantova, ho studiato ragioneria poi mi sono dedicato alla letteratura. Fin da bambino ho letto molta prosa e qualsiasi genere letterario, un po’ più tardi è venuta anche la poesia, sia poeti italiani che stranieri. Ancora oggi non ho preferenze, forse solo per la poesia, preferisco infatti quella moderna, perché ho la sensazione che la poesia classica, una volta che l’hai studiata, rimanga, oggi, un po’ ferma lì. Ho iniziato a scrivere molto tardi, ho 42 anni, perché ho sempre preferito leggere. La mia prima raccolta organica  è legata a questo libro di poesie, pubblicato dalla Opposto edizioni, ed è per una piccola avventura, soprattutto essere qui al Salone del libro.

Quali sono i temi della sua poesia?

I temi della mia poesia sono l’amore, il viaggio, l’avventura, intesa non come  scoperta del mondo, ma come introspezione dell’io, anche perché la mia produzione nasce soprattutto da un discorso interiore in un momento di silenzio dal quale scaturisce l’attenzione per particolari che potrebbero sembrare insignificanti. Tutto infatti può lasciare sensazioni particolari, una canzone, una parola detta o ascoltata da cui scaturisce un sentimento in grado di sviluppare la poesia.

Lei ha parlato di piccole cose, quindi di amore, di viaggio, di avventura, dell’esperienza quotidiana, ma anche del mistero che è dietro la realtà, dunque quanto l’ha colpita o influenzata nella redazione delle sue poesie  la poetica ermetica o decadente o comunque la grande poesia del Novecento?

Forse soprattutto l’Ermetismo, Ungaretti è uno dei miei preferiti, perché ha lasciato un segno indelebile nella poesia. A differenza di altri contemporanei che amano una poesia prosaica, la mia poetica si avvicina di più all’Ermetismo, preferisco imprimere un significato alle parole, piuttosto che averne una varietà discorsiva perché poi il rischio è perdere il senso. Preferisco la concisione.

La poesia ermetica è stata una pietra miliare del Novecento perché ha scardinato definitivamente la poesia classicamente intesa e ha dato importanza alla parola, come lei stesso dice, anche a quella semplice, isolata nel verso, perché portatrice di significati aggiunti. Quanto si ispira nella sua poesia  a questo tipo di impostazione e soprattutto come la cultura digitale sarà in grado di far compiere un passo avanti nel modo di scrivere? La parola in se stessa diventerà ancora più importante?

La parola sarà sempre importante, ritornando al discorso di prima, forse la poesia digitale del futuro sarà in parte ermetica, perché la rete punta molto sulla concisione e sull’impatto verbale e visivo.

Oggi potremmo dire che si legge breve e si scrive breve, lei pensa che il futuro sia questo la scrittura breve?

Secondo me sì.

In che modo,  se ne ha fatto uso,  i social l’hanno aiutata a pubblicizzare il testo, a entrare in contatto col suo pubblico, forse anche  a trovare il suo editore? Pensa possano essere uno strumento valido?

Io penso di sì, il primo contatto con il mio editore è avvenuto on line. Credo sia importante la relazione tra la digitalità e la carta, perché nel digitale si realizza più facilmente un incontro tra chi legge e chi scrive, anzi forse ancor di più tra gli scrittori stessi.

Non so se ha sentito parlare di scrittura condivisa… che cosa ne pensa?

Sì, ho fatto anche io qualche tentativo. È una cosa un po’ nuova che spronerà la classica editoria.

Spesso poi capita che venga chiamato il pubblico dei social a votare per quanto si è scritto, quanto crede sia un giudizio di valore e merito, quanto invece un giudizio di pancia? E questo meccanismo può ledere alla letteratura? portando a galla non il merito ma chi ha un fitto numero di “amici” da cui farsi sostenere?

Credo che questo sia più un problema legato agli aspetti commerciali e forse a una perdita di potere decisionale sulla pubblicabilità di un autore dell’editoria tradizionale. Non credo leda il valore della letteratura, è invece un modo per andare incontro alle esigenze del lettore.

C’è spazio per la poesia nel futuro?

Credo di sì, voglio sperarlo, nonostante il poeta nella nostra realtà sia relegato a un ruolo marginale a differenza del passato dove era una personalità di rilievo nell’ambito culturale.

Quali sono i versi che le è piaciuto di più scrivere? E cosa c’è dietro?

“Questa nausea / s’ingegna / a cogliere di sorpresa” (Nausea, in Codici Apparenti, Opposto edizioni). Cosa c’è dietro? La repulsione per una società opprimente in molte situazioni sociali, politiche, economiche.

Lei crede, in un certo senso e come molti poeti, nel potere salvifico della poesia?

Bella domanda, forse la poesia ha anche alle sue radici questa intenzione, però parte dall’interno di ognuno di noi, è un movimento interiore più che una rivoluzione esteriore.

Un messaggio per i lettori di Connessioni letterarie?

Continuate a leggere, perché la lettura restituisce il senso della vita. Ci aiuta a trovare noi stessi nel mezzo di una società che tende a massificare, ci regala momenti di riflessione in cui capire noi stessi e gli altri.

Maria Mancusi

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