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Il festival di Internazionale

Scritto da Beatrice Nigrisoli

Un’occasione di incontro e di riflessione anche sulla traduzione letteraria

Da una decina di anni il primo weekend di ottobre è diventato un appuntamento atteso per chi come me vive a Ferrara. È in questa data infatti che la città ospita il festival organizzato dalla rivista Internazionale, una tre giorni ricca di incontri, conferenze, presentazioni di libri, proiezioni di lungometraggi, dibattiti e musica. I protagonisti dell’evento sono gli esperti e i giornalisti che abitualmente figurano e scrivono su Internazionale, affiancati da diversi ospiti: attivisti per i diritti umani, poeti, rifugiati politici, membri di varie associazioni, studiosi e ricercatori provenienti dal mondo intero. Il festival è gratuito, a esclusione di alcuni spettacoli o proiezioni, e negli anni è cresciuto fino ad attirare un pubblico davvero numeroso e variegato. Si incontrano famiglie, anziani e soprattutto giovani, tantissimi giovani che affollano le strade del centro e attendono pazientemente in fila per assicurarsi un posto in sala. Una partecipazione che ogni anno mi lascia di stucco. Osservo la città, irriconoscibile, e vorrei che fosse sempre così, che questa sete di cultura si manifestasse con forza tutti i giorni.

Ho in mano l’opuscolo giallo in cui è condensato l’intero programma del 2018. Scorrendo l’elenco di incontri si nota subito che la questione migratoria rappresenta la tematica centrale, come prevedibile. Si parla anche di diritti civili e conflitti internazionali, economia, ecologia, ed Europa. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Io ho scelto di partecipare a una conferenza che mi coinvolge da vicino, in quanto traduttrice, ovvero In altre parole, l’incontro dedicato alle sfide della traduzione letteraria, con Ann Goldstein e Marco Rossari.

Ann Goldstein ha tradotto in inglese americano grandi autori, come Pier Paolo Pasolini, Primo Levi ed Elena Ferrante. Rappresenta un raro caso, quello in cui il traduttore viene acclamato come una celebrità. La sua fortuna risiede nel talento e nel duro lavoro, nella cura per i dettagli più minuziosi. Eppure la carriera di traduttrice per Ann nasce quasi per caso: all’incirca trent’anni fa inizia a frequentare le lezioni di italiano dopo il lavoro, spinta dal desiderio di leggere la Divina Commedia in lingua originale. Chissà se si sarebbe mai immaginata di divenire “a star Italian translator”, come la definisce il Wall Street Journal nel 2016.

Marco Rossari invece ha recentemente pubblicato per Enaudi Nel cuore della notte (2018) e come traduttore si è spesso confrontato con autori del passato, tra i quali Charles Dickens e Mark Twain.

L’incontro si rivela una piacevole chiacchierata. Come rendere le sfumature del dialetto in traduzione? Quali sono le strategie per mantenere attuale un testo scritto più di cento anni fa? Quanto è stretto il rapporto tra autore e traduttore? Ecco alcune domande poste agli ospiti; ciascuno ha riportato le proprie esperienze personali, arricchite da molti esempi pratici. “Mi servo dello slang,” racconta Ann Goldstein in riferimento al dialetto napoletano presente nei romanzi di Elena Ferrante. “Non posso certo sostituire il dialetto con la parlata newyorkese, ma cerco di inserire contrazioni e parole di registro più basso per comunicare la colloquialità”. Marco Rossari invece riflette sulle difficoltà insite in un testo del XIX secolo. È importante trovare un giusto equilibrio affinché il lettore possa respirare l’atmosfera del romanzo, ambientato in un’epoca passata, mantenendo al contempo un italiano fresco e attuale. Non bisogna scimmiottare una lingua ormai desueta, ma piuttosto giocare sui termini, scegliendo con cura quelli più evocativi.

È naturale incontrare degli ostacoli e delle sfide in un testo letterario. Un traduttore può riflettere ore intere su un singolo passaggio prima di trovare una soluzione, la più soddisfacente. E anche a quel punto, se non è convinto, continua a tormentarsi. “Ero a San Pietroburgo quando all’improvviso mi è venuta in mente la soluzione perfetta per il finale di un romanzo. Un romanzo che avevo consegnato otto anni prima,” ride Marco Rossari. Forse il suo subconscio aveva continuato ad arrovellarsi sul dilemma traduttivo? Esistono casi, invece, in cui è bene confrontarsi con l’autore, per essere certi di interpretare correttamente la sua voce. Ne parla Ann Goldstein: “Mi sono rivolta a Elena Ferrante quando avevo dei dubbi, tuttavia la comunicazione è sempre avvenuta tramite l’editore. Si tratta della prassi comune e io preferisco seguirla, avendo lavorato personalmente in editoria. Ho sempre trovato molta disponibilità da parte dell’autrice”.

La conversazione prosegue e senza accorgercene giungiamo al termine dell’incontro. È un piacere ascoltare esperienze diverse e comuni appartenenti al mondo della traduzione. È un piacere parlare in questa sala gremita di un mestiere che facilita la trasmissione dei saperi e delle idee, lo scambio tra culture, la narrazione di storie. Sì, perché quello del traduttore è un lavoro che per natura passa in sordina, invisibile e silenzioso. Il traduttore non attira l’attenzione, anzi si cimenta nella dissolvenza, sparisce e lascia voce all’autore. Tenta di restituirla con discrezione, in punta di piedi. Mentre ci congediamo con un sonoro applauso, penso sia meraviglioso celebrare questo lavoro, talvolta ingrato, ma altrettanto nobile.

Beatrice Nigrisoli

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