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La spada dell’elfo – Stefano Mancini

Scritto da Maria

Un fuoco scoppiettante ardeva nel camino, mentre una mezza dozzina di avventori un po’ avanti con l’età si affannava alla disperata ricerca di uno spazio vicino a esso. Fuori la serata non era fredda, ma la grande taverna aveva parecchi spifferi malsani.

Il sole era calato già da un paio d’ore, ma la locanda Il Boccale Rotto era ancora immersa in una placida tranquillità. Solo i più anziani abitanti della città erano già davanti al fuoco con una coppa di birra in una mano e un piatto di carne fumante nell’altra.Gli altri, i più giovani e vigorosi, erano ancora a casa a mangiare con mogli e figli. Più tardi avrebbero però trovato la solita scusa per salutare l’una e gli altri, infilarsi il mantello e andare alla taverna a fare quattro chiacchiere con gli amici.

Il Boccale Rotto era da così tanti anni il punto di ritrovo di tutti gli abitanti di Ilus che Eryc, il taverniere, poteva a ben diritto essere considerato uno dei cittadini più benestanti. E anche uno dei più onesti, visto che a volte offriva da bere a chi non se lo poteva permettere.

Ma le cose non erano sempre andate in questo modo ed Eryc non lo dimenticava.

Aprire una locanda in una piccola città come Ilus non era stato facile. Prima che i clienti comincino a frequentarla con assiduità e soprattutto prima che decidano di spendere i loro pochi risparmi là dentro, devono passare diversi anni. Non erano state rare, perciò, le volte che il vecchio Eryc Santerre aveva soppesato l’idea di chiudere bottega e tornare a fare il fabbro, come suo padre e suo nonno prima di lui.

A dispetto delle difficoltà iniziali, tuttavia, Eryc aveva resistito con un orgoglio e uno spirito di sacrificio davvero encomiabili. Dentro di sé sapeva che non avrebbe abbandonato il suo sogno per tornarsene a lavorare il metallo. La sola idea di dover passare dieci-dodici ore davanti a una fornace bollente a battere ferro e acciaio, rame e bronzo, su una vecchia incudine ammaccata, gli dava le vertigini. Troppo caldo, troppa fatica e soprattutto troppa solitudine.

Da sempre, in sostanza da quando aveva memoria, il buon vecchio Eryc aveva saputo che fare il locandiere era la sua vocazione: starsene con i clienti, ridere e scherzare fino a notte fonda, questa era la sua vita.

Così, venduto il locale paterno (ovviamente dopo la morte del vecchio Jim Santerre che mai avrebbe acconsentito a un tale sacrilegio da parte del figlio), Eryc aveva lasciato la natia Sassy, dove di locande ce ne erano fin troppe, e si era trasferito a Ilus. Qui aveva tirato su una tavernucola niente male: abbastanza grande da ospitare fino a quaranta persone, vendeva il miglior vino e la miglior birra dell’intera Costa dell’Ovest. Alla faccia di quegli sbruffoni di Dhuram o Baedan!

Ma per raggiungere quegli obiettivi, Eryc aveva dovuto darsi parecchio da fare.

È incredibile come la gente sia legata alle proprie abitudini. Nonostante l’unica taverna di Ilus che potesse fare concorrenza al Boccale Rotto, la Cane Randagio, vendesse alcolici di pessima qualità e il grado di pulizia era almeno altrettanto scadente, quasi tutti gli abitanti erano stati restii ad abbandonarla.

Il caso però alla fine ci aveva messo lo zampino. Qualche anno dopo l’arrivo di Eryc a Ilus, un incendio scoppiato in seguito a una rissa aveva raso al suolo la Cane Randagio, lasciando così ai cittadini due sole alternative: trascorrere la serata con le mogli o provare la taverna di quello che fino a poco prima era stato per tutti lo Straniero.

Com’era ovvio che fosse, nessuno era stato tanto folle da scegliere la prima soluzione. In un momento ben preciso di parecchi anni prima, dunque, una folla di avventori si era trasferita in massa al Boccale Rotto scoprendo che la birra aveva tutto un altro gusto, notevolmente migliore, quando era fatta con gli ingredienti giusti e servita in boccali puliti.

Da quel momento in poi, gli anni erano fuggiti via veloci e gli affari avevano preso una piega talmente tanto buona, che Eryc si era deciso perfino a compiere il grande passo, sposando Tilly, la più bella e graziosa delle sue cameriere. Era stato un buon matrimonio, non benedetto dalla nascita di alcun figlio, ma comunque non avaro d’amore. Quanto a Eryc, guardando la sua locanda ben avviata e sua moglie che nonostante l’età continuava a essere piuttosto attraente, non poteva fare a meno di ritenersi l’uomo più fortunato del mondo.

Proprio uno di questi pensieri piacevoli gli gironzolava nella testa mentre distrattamente puliva il bancone, quando la porta della taverna si spalancò.

Lanciando un’occhiata distratta all’orologio ad acqua che borbottava pigro poco più in alto, Eryc calcolò che era ancora troppo presto per qualcuno dei clienti abituali.

“Stranieri”, pensò fra sé. “Nessuno che voglia poter tornare da sua moglie senza vedersi piovere contro pentole e piatti lascerebbe così presto la propria casa”.

Sogghignando fra sé per la battuta, Eryc smise di strofinare il vecchio bancone e si diresse alla porta. Prima ancora che avesse finito il giro del bancone, però, si arrestò di colpo incuriosito e sorpreso dalla strana compagnia che aveva appena fatto il suo ingresso.

Al Boccale Rotto andavano clienti da tutta Ilus e, molto spesso, anche da fuori. Non era raro trovarvi qualche avventuriero, qualche soldato o perfino qualche mercante che si era spinto così a sud per commerciare nelle città libere di Albyne. Ma per lo più si trattava di gente comune, persone che per sfortuna o per affari erano finite in un luogo tanto remoto quanto lontano dalle grandi città del nord.

I quattro che l’oste si trovò davanti, invece, non avevano nulla di comune…

 

da La spada dell’elfo, (Runde Taarn Edizioni – 2010)

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