Recensioni

La cognizione del dolore

Scritto da Andrea Corona

Le recensioni di Connessioni letterarie

«Don Gonzalo Pirobutirro d’Eltino vive con la madre nella casa di campagna ereditata dal padre. Si trova in una terra di fantasia, che potrebbe essere il Sudamerica ma che somiglia molto alla Brianza»

Per quanto possa essere poco ‘scientifico’ citare una quarta di copertina (ma esiste un precedente: Elio Franzini cita una quarta di copertina in un suo saggio su Lyotard), sono bastate queste poche righe a stuzzicare la mia curiosità. La ‘fantastica’ vicenda narrata da Gadda è ambientata tra Lukones e Pastrufazio, due villaggi della provincia del Serruchón, nello Stato del Maradagàl. Siamo nel 1925, a un anno dalla fine della sanguinosa guerra tra il Maradagàl e il Parapagàl. Le popolazioni di entrambi gli Stati contano un gran numero di morti, feriti e malati infetti, e sembra impossibile sapere chi abbia avuto la peggio, visto che «ognuno dei due paesi sostiene di aver vinto la guerra e ne addossa all’altro la terribile responsabilità».

Dopo un inizio quasi tragicomico, grottesco e a tratti calviniano, la storia nel suo incedere sia fa via via più cupa. Nell’immediato dopoguerra, infatti, il Maradagàl è in ginocchio, caduto in miseria; la vita nei villaggi diventa difficile e turbolenta, e la criminalità nel Serruchón aumenta in modo esponenziale. Viene allora istituito un servizio di ronde di vigilanza notturna, il Nistitúo de Vigilancia para la Noche.

«In tutto il volto gli si leggeva uno sgomento, un’angoscia, che il medico tra sé e sé non esitò un minuto ad ascrivere a una nuova crisi di sfiducia nella vita». Queste parole sono riferite al protagonista del romanzo, l’ingegnere-capo. L’ingegnere è Don Gonzalo, quarantaquattrenne in piena crisi esistenziale alle prese coi fantasmi del suo passato: rispettivamente il fratello minore, perito in guerra, ma nei confronti del quale egli continua ad accusare un complesso d’inferiorità; e l’odiato padre, morto anch’egli, ma ‘reo’ di aver edificato e di avergli poi lasciato in eredità una villetta di campagna in una zona tanto squallida, frequentata da straccioni ed esposta alle mire dei malintenzionati.

«…Il muro è gobbo, lo vedo, e anche le anime dei morti lo scavalcherebbero… È storto, tutto gobbe: ma il suo segno, il suo significato rimane. Dacché attesta il possesso: il sacrosanto privato privatissimo mio». Gonzalo odia tutto ciò da cui è circondato, anche in senso letterale: il muro di cinta, ad esempio, inadeguato a difendere la villetta, lo disgusta più di ogni altra cosa, in quanto simbolo dell’assurdità delle decisioni degli uomini e dell’esistenza in generale. Si considerino le ronde notturne: l’Istituto di Vigilanza dovrebbe in teoria proteggere la povera gente, e invece il servizio è a pagamento: ma com’è possibile – si chiede Gonzalo – escludere dalla sorveglianza le ville confinanti a quelle sorvegliate? Forse i funzionari chiudono gli occhi e voltano la faccia dall’altra parte? Eppure, quando il cavalier Trabatta, un residente della zona, dichiara al segretario comunale «ch’egli non sarebbe sottostato a nessuna imposizione, a nessun ricatto, mai», ecco che «quel mocoso del Manganones si procura una speciale pratica nell’escludere dalla sorveglianza le ville non abbonate». E così, quando sarà proprio la villa del Trabatta a subire un furto, Gonzalo non esiterà a ipotizzare una ritorsione da parte dei ‘difensori’ della povera gente.

La cognizione del dolore è un romanzo amaro e drammatico, che si conclude in modo estremamente crudo e violento (le ultime pagine sono una pugnalata allo stomaco). Una lettura difficile, insomma, anche per lo stile e per la commistione linguistica (un miscuglio di lingue e dialetti non scevro di neologismi). Eppure, nondimeno, ho amato questo libro. Personalmente, infatti, Gonzalo mi ha ricordato tantissimo Antonio Roquentin, l’intellettuale protagonista de La nausea di Sartre. «Così solo, a leggere: o, peggio ancora, a scrivere! Ma cosa diavolo legge, poi!… Cosa scrive?…»: il medico è preoccupato per le abitudini poco salutari di Gonzalo, perennemente immerso con la testa in qualche libro di filosofia (nei vari capitoli lo troviamo intento a leggere il Simposio, le Leggi, il Parmenide e altri dialoghi platonici). Se il disgusto dell’ingegnere per l’assurdità dell’esistenza non poteva non farmi pensare al protagonista di Sarte, anche l’epilogo di Gadda, che recita «Solitudine di volti senza pensiero. Abbandono» sembra un’eco di quel famoso «Martedì: Niente. Esistito» riportato a una pagina del diario di Roquentin (nella frase di Gadda compaiono la solitudine e l’abbandono, che sono appunto due categorie esistenziali). In conclusione, La cognizione del dolore è un romanzo brutale, che tuttavia mantiene sempre alto il tono grazie a una penetrante filosofia dell’alienazione.

Autore: Carlo Emilio Gadda
Titolo: La cognizione del dolore
Editore: Garzanti
Anno: 2011

Andrea Corona

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