Attualità Cultura e società

Si scrive Napoli si legge Italia

Scritto da Maria

Vi siete mai trovati nella situazione di dover ammettere che le vostre origini sono partenopee? Molti di voi forse no, ma alcuni di sicuro. Ebbene questi pochi si saranno trovati, pronti ad accogliere la rivelazione, per la maggior parte delle volte e sicuramente senza che l’interlocutore ne abbia la consapevolezza, un certo tipo di sguardi, difficili da descrivere, ma che passano dalle sfumature del compiacimento per aver stanato il “diverso”, talvolta e più raramente il “compaesano”, a quelle della compromettente diffidenza. Ecco, di fronte a questi occhi che scrutano con tagliente sarcasmo, prima della fatidica ammissione, si saranno cercate delle scappatoie, come “sono campano”, “sono partenopeo”, quasi a smorzare la portata di negatività che certe parole hanno in sé, una via di fuga cercata nel campo dei sinonimi, pur di non pronunciare quelle sei lettere, N A P O L I, che metteranno dinanzi a un’ennesima delusione: scoprire che per certi pregiudizi non c’è “tempo” che passi. Poi, per un moto di orgoglio, di rivalsa, più certamente di amore, si scarteranno rapidamente le altre possibilità e, con l’ansia di chi spera di essere apprezzato, si lascerà passare, attraverso le corde vocaliche, quel filo d’aria che le metterà tutte in fila quelle sei lettere: “sì, vengo da N A P O L I”.

Mi sono chiesta spesso il motivo di questa reazione quasi “allergica” nei confronti della città di Napoli, ma finché non si è viaggiato abbastanza, finché non si è entrati in contatto con il resto dell’Italia non si può capire. Bisognerà, quindi, dopo che una certa idea uno se la è fatta, tranquillizzare i napoletani, quelli che abitano la città e quelli sparsi per l’Italia: non vi etichettano per il vostro dialetto che sbuca ogni due parole, per le vocali troppo aperte, per il cibo troppo pesante, per l’invadenza del vostro carattere, per la tendenza a trovare il positivo anche nelle disgrazie, per la naturale propensione a filosofeggiare, per il tono della voce che oltrepassa le barriere architettoniche, per la tendenza a dilatare i margini del legittimo, per la guida prepotente, per la sciatteria di certi atteggiamenti, per il tifo incontrollato verso la squadra che credete vi rappresenti. No, non siete invisi per questo. È un’altra la ragione e, ahimè, ben più drammatica! Sì, perché se il male fosse localizzabile, se da ripulire fosse un territorio con una popolazione di poco superiore al milione di abitanti, tutto sarebbe più facile.

La verità è che questa città è il caleidoscopio dell’Italia. Napoli ci restituisce la molteplicità dei problemi che attanagliano non un territorio limitato, ma il paese tutto. Chiunque la visiti, chiunque la conosca, chiunque ne parli potrebbe constatarlo con chiarezza. Per l’Italia guardare a Napoli è disporsi dinanzi a uno specchio, a una lente d’ingrandimento. Ora sì che possiamo con sincerità spiegare ai napoletani, perché il nome della loro città desta pruriti da orticaria: trovarsi “nudi”di fronte a se stessi, a quello che si potrebbe essere e si sceglie di non essere, è uno spettacolo indecente. Se fossimo in una bella pagina di letteratura, potremmo come Dorian Grey, decidere di scagliare la nostra ira contro l’immagine che ci sta davanti, ma siamo nella vita reale. Allora guardiamola questa città e osservandola pensiamo al nostro paese: per un verso la disoccupazione di giovani laureati e non che emigrano, l’immobilismo della politica, la corruzione dilagante negli ambienti del potere, l’ingerenza della criminalità organizzata, l’emergenza ambientale, le difficoltà del sistema dei trasporti, l’impotenza del sistema sanitario, la scarsità delle risorse economiche per scuole e Università, collante istituzionale del sapere e dell’educazione alla legalità; d’altro canto – dietro, sotto, sopra, affianco a tutto questo – la bellezza di monumenti, di siti archeologici, di tesori dell’arte, di isole e coste meravigliose, di strade che sono storia, di tradizioni che sono cultura.

Siamo sicuri che stiamo parlando solo di Napoli? Napoli iconema del Mezzogiorno, ma ancor più iconema dell’Italia. Sarà forse per questo che l’ennesima occasione per riportare la città all’onore delle cronache, incendio divampato a Città della scienza, si è tradotta in uno show di polemiche e bei propositi. Una dopo l’altra tornano a sfilare le opinioni dei catastrofisti disprezzatori (“dovevano bruciarla prima”), degli intellettuali nostalgici e dolenti, dei politici pseudo eroici (“Napoli è sotto attacco”), le reazioni composte e scomposte dei cittadini, la trasposizione teatrale di un Pulcinella che non fa ridere. Infine le solite domande e le solite osservazioni: incuria alla napoletana, deficienze della struttura, zampino della camorra, soluzione drastica per tutelare interessi terzi? Nel mezzo dello sconcerto il vuoto di tutte le cose che vanno in fumo, di tutti i progetti che non si sono saputi proteggere, a prescindere dall’aggressore.

Ma non sono i buoni propositi, né il fango delle polemiche che salveranno Napoli, che salveranno l’Italia. È una certa mentalità quella che deve cambiare, che forse deve proprio arrivare… Una mentalità che avrebbe fatto saltare tutti dalle sedie, perché nessuno può attaccare beni che sono di tutti, una mentalità che non accetta il vittimismo, una mentalità che esige spiegazioni e risposte a domande, che non si riunisce per piangere le sue ferite, ma che costruisce, perché non vuole ri-costruire.

I napoletani hanno visto in questo anno la devastazione del Museo dei Girolamini, lo sfratto dell’Istituto degli Studi Filosofici, il riesplodere della faida di Scampia, il crollo del palazzo alla Riviera di Chiaia, il disastro del trasporto pubblico, le chiese dei Decumani diventate ricettacoli di monnezza. In realtà lo hanno visto gli italiani, perché un corpo è le sue parti. La salute di un corpo non è la salute di una sua parte, ma del tutto.

Il cambiamento che si richiede e si invoca per Napoli è il cambiamento che dovrebbe perseguire l’Italia. Ma cos’è questa “diversità”, che dovrebbe spargersi come pioggia su questa città, su questo paese? Dategli voi un nome. Senza nome non c’è concretezza.

 Maria Mancusi

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