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AgoraVox Italia e il futuro del giornalismo

Scritto da Tonia

AgoraVox è stato un pioniere dell’editoria digitale in Italia… Quando ancora il futuro dei quotidiani non era totalmente proiettato sulla rete AgoraVox aveva già messo radici on line. I sostenitori di questo progetto hanno visto lontano… Cosa li ha spinti a puntare su un nuovo tipo di giornalismo? Quali credi saranno gli sviluppi del giornalismo in Italia?

AgoraVox è un progetto nato nel 2005 in Francia da un’idea di Carlo Revelli che si rese conto dello scarto esistente tra ciò che pensavano i politici e la stampa mainstream riguardo il referendum sulla Costituzione Europea rispetto all’idea che circolava in rete. E così nasce AgoraVox, anche in seguito allo tsunami del 2008, osservando come le informazioni circolassero più facilmente in rete che nei media tradizionali. Poi nel 2008 Revelli e Francesco Piccinini si resero conto che in Italia non esisteva una progetto di citizen journalism e decisero di intraprendere l’avventura anche qui. Insomma l’idea nasce dal voler dare direttamente voce ai cittadini, dandogli la possibilità di entrare direttamente a far parte del ciclo informativo, così come poi è puntualmente successo e gli sviluppi del citizen journalism (ad esempio nelle zone di guerra dove la stampa ha difficoltà a entrare) sono lì a dimostrarlo.

Sul futuro del giornalismo, beh, è la domanda che tutti si pongono, soprattutto ci si chiede quale sarà il nuovo modello economico che fermerà questa ecatombe di giornali. Ho dubbi riguardo il potenziale dei paywall, usato ad esempio su molti quotidiani americani (penso a quello “poroso” del NYTimes che permette di leggere 10 articoli free al mese prima dell’abbonamento – benché se si arriva da social o aggregatori l’accesso non sia contato) e che sta approdando anche in Italia: troppa disparità di contenuti, di possibilità di investimenti e soprattutto un bacino d’utenza troppo limitato. Ma si sa, a fare i veggenti spesso si sbaglia. Credo comunque che l’idea di Digital first (quindi la prevalenza dell’online rispetto alla carta, come sta facendo il Guardian) e quello di “curation” delle notizie (quindi selezione rispetto al flusso informativo continuo) siano due aspetti importanti. Ma c’è anche un ritorno al passato, ovvero al long-form journalism, quel giornalismo “lungo” che si credeva scomparso con l’avvento del web (vedi gli esempi di Buzzfeed o di Matters, per fare due esempi).

Pensi ci sarà un’affiancamento della carta al digitale o credi sarà tutto interamente spostato sulla rete?

In molti sostengono che la carta prima o poi morirà. Io non lo so, dubito. Piuttosto credo che ci sarà (anzi, già è in atto) un cambiamento nella costruzione dei contenuti, che saranno per forza differenziati (un esperimento come quello di Snow Fall del NYTimes è un primo passo, benché non possa per ora costituire regola visto i costi enormi e il tempo che ci vuole) e come detto nella prevalenza del digitale. Ma già oggi, e l’abbiamo visto con le elezioni americane, (segnalo questa interessante riflessione di Mario Tedeschini-Lalli) si cerca e si è obbligati a questa differenziazione (chi più, chi meno). La carta rimarrà ma non più per l’attualità, quanto piuttosto per il commento. Ma il panorama è talmente in continua evoluzione che si rischia di dire una cosa per essere smentiti due secondi dopo. L’esempio di Pubblico però è lampante del fatto che intraprendere un progetto di quotidiano cartaceo non è una cosa semplice, soprattutto se non c’è una novità evidente. In Francia, ad esempio, a fronte della chiusura di alcuni giornali storici (come il satirico Bakchich) si riscontrano progetti cartacei molto belli come quello del trimestrale XXI, fatto di pezzi curatissimi, lunghi reportage, inchieste, fotoreportage e una veste grafica innovativa. Ecco, il problema alla base di tutto sono le idee. Non proprio poco.

Come è cambiato il giornalismo con l’editoria digitale? AgoraVox propone un giornalismo “democratico” e “social”, pensi che un progetto di questo tipo avrebbe potuto svilupparsi senza la rete?

Sì, credo di sì. Credo che sicuramente il digitale dia delle possibilità e degli strumenti importanti (valga l’esempio di Snow Fall fatto prima) che prima non avevamo, ma se non ci fosse ci si sarebbe attrezzati in qualche modo. Non credo che il digitale sia la panacea per tutti i mali, almeno per ora, ma fra un po’ sarà determinante. Poi dipende da come si usano gli strumenti a propria disposizione, non basta semplicemente averli.

Gli strumenti offerti dalla rete generano nuove forme di comunicazione, quali credi possano essere i riflessi dello sviluppo dei social network sul giornalismo?

I social hanno sicuramente avuto un’influenza nel modo di selezionare e anche di trattare le informazioni. C’è maggiore controllo sui contenuti, come è vero che c’è anche più “rumore”. Insomma da una parte rafforza il ruolo del giornalista da un’altra parte ne modificano in parte il ruolo. In un report sul giornalismo di cui si è molto parlato nelle settimane scorse, quello del Tow Center for Digital Journalism della Columbia Journalism School intitolato “Post-Industrial Journalism” e redatto da tre personalità importanti (C.W. Anderson, Emily Bell e Clay Shirky), parlando di come il ruolo del cittadino sia una componente fondamentale quando si parla della figura del giornalista si parla proprio del cambiamento di quest’ultimo e si dice che “ (journalist, ndr) has not been replaced but displaced, moved higher up the editorial chain from the production of initial observations to the role that emphasizes verification and interpretation, bringing sense to the streams of text, audio, photos and video produced by the public”. Verifica (che è uno dei punti cardini del giornalismo futuro. Basti pensare alla quantità di immagini e video da verificare, come nel caso dell’uragano Sandy) e interpretazione diventano due punti cardine che, ovviamente, non tolgono il ruolo di scopritore di news. Ma i social possono essere strumenti importanti nelle mani dei giornalisti professionisti. Un giornalista del Guardian, Paul Lewis ha vinto un paio di premi per le sue inchieste per le quali si è servito dei social, per verificare alcune notizie e avere info in più (qui una spiegazione sulle due inchieste, qui qualche domanda che gli ho fatto in occasione del suo intervento al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia)

E sulla letteratura?

Sulla letteratura e i social sono meno ferrato. Lo sviluppo e la proliferazione del digitale credo abbiano vantaggi e svantaggi come in tutto. Ha reso più semplice ed economico (meno in Italia) procurarsi libri (penso a libri in lingua originale, difficilmente trovabili in Italia), ma ovviamente eludendo il filtro dei professionisti delle case editrici ha creato una offerta maggiore nella quale è più complesso, forse, muoversi. Sui social non so, ho letto le continue polemiche di Franzen, ad esempio, che vede twitter come il demonio (esagerando un po’), ma mi è molto piaciuto l’esperimento della scrittrice statunitense Jennifer Egan che ha pubblicato un racconto lungo per il New Yorker a colpi di tweet (racconto lungo pubblicato in cinque giorni, dedicati, su twitter e raccolto, poi, dal suo editore italiano, Minimumfax, col nome di Scatola nera: qui trovate il quaderno su cui ha scritto i tweet). Un esperimento interessante che pone sfide e gabbie nuove allo scrittore (che vuole sperimentare).

Un messaggio ai lettori di Connessioni Letterarie…

Siate aperti alle novità. Commentatele, criticatele, appoggiatele ma sempre in maniera intellettualmente onesta.

Tonia Zito

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