Attualità Cultura e società

I pozzi oscuri delle donne

Scritto da Caterina Sansoni

A me non è mai successo di incontrare una donna senza scoprire dopo un poco in lei qualcosa di dolente e di pietoso che non c’è negli uomini, un continuo pericolo di cascare in un grande pozzo oscuro, qualcosa che proviene proprio dal temperamento femminile e forse da una secolare tradizione di soggezione e schiavitù e che non sarà tanto facile vincere. M’è successo di scoprire proprio nelle donne più energiche e sprezzanti qualcosa che m’induceva a commiserarle e che capivo molto bene, perchè anch’io ho la stessa sofferenza da anni e mi sarà difficile liberarmene mai. Due donne infatti si capiscono molto bene quando si mettono a parlare del pozzo oscuro in cui cadono e possono scambiarsi molte impressioni sui pozzi e sull’assoluta incapacità di comunicare con gli altri e di combinare qualcosa di serio allora e sugli annaspamenti per tornare a galla (Natalia Ginzburg, Discorso sulle donne, 1993)

Cadere nel pozzo oscuro: forse la donna da secoli ha questa sensazione, questa coscienza, questo fatalismo. I pozzi oscuri possono essere disparati, sempre ben nascosti e camuffati da innocui specchi d’acqua, che poi si rivelerà un veleno mortale. Tra i pozzi oscuri più famosi del XX secolo, possiamo ricordare il fascismo, l’irrealtà e il corpo. Sono stati pozzi neri fatali per tante donne, ma sono stati anche il tunnel unico e formativo attraverso cui sono riuscite a passare e a tornare alla luce tante figure di donne esemplari.

Il fascismo ha teso una trappola a dir poco subdola alle donne del tempo: da una parte lusingava le loro aspirazioni alla partecipazione sociale, dall’altra le mummificava nel ruolo di “donna muliebre”, legata al senso di responsabilità verso la patria, la famiglia e la religione. È stata una ghettizzazione camuffata da rilancio dell’immagine femminile. Creare “una donna fascista per l’Italia fascista” non è stato difficile: quasi tutte si sono fatte plasmare dalla propaganda e dalle associazioni fasciste, perfino alcuni gruppi femministi, risucchiati e strumentalizzati dall’ideologia di Mussolini. Il tradizionale ruolo domestico della donna veniva adornato di alte missioni patriottiche: la donna-madre creava figli-soldato per le mire di espansione imperialistica e per l’immagine della sanità della razza. Quasi nessuna si accorgeva di stare precipitando dentro questo pozzo nero, e d’altronde quasi nessuna aveva i mezzi per rendersene conto: mentre il fascismo da una parte esaltava il mito della fecondità e la figura della donna sana e robusta, dall’altra varava misure contrarie al lavoro femminile e riconosceva la presunta inferiorità intellettuale delle donne (“La indiscutibile minore intelligenza delle donna ha impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione può essere da essa provata solo nella famiglia”, Ferdinando Loffredo, Politica della famiglia, 1938). Nonostante quello che potremmo definire un “sonno della ragione” ampiamente diffuso, molte donne riuscirono a restare lucide e critiche, ad aprire gli occhi e a partecipare poi attivamente alla Resistenza ed esprimere disaccordo con il regime. Tra di loro ci saranno alcune elette all’Assemblea Costituente, come Nilde Iotti, Angela Gotelli, Adele Bei, Teresa Noce, Rita Montagnana. Anche alcune figure di spicco della ricerca scientifica continuarono il loro lavoro imperterrite, evitando e oltrepassando il pozzo oscuro: Maria Montessori arriva a riconoscere gli insanabili contrasti con il regime, che da principio aveva appoggiato i suoi progetti educativi e le Case dei bambini, mentre Rita Levi-Montalcini, che, essendo ebrea, ha dovuto errare tra il Belgio, Torino e Firenze per scappare alle deportazioni, non ha mai rinunciato a mettere in piedi laboratori improvvisati per continuare le sue ricerche in campo neurologico.

 L’irrealtà di cui vorrei parlare è di tipo letterario. Il pozzo oscuro dell’irrealtà letteraria ha inghiottito tante scrittrici, tante creatrici di best sellers, che hanno cavalcato la gloria del momento e hanno saputo toccare i tasti giusti della natura femminile, forse provando la tesi che sotto sotto i pregiudizi abbiano sempre un fondo di verità. Sto pensando alla letteratura commerciale degli ultimi decenni, alle trite e ritrite storie d’amore, di shopping, di carte di credito, di gioielli, di amanti segreti che hanno riempito gli scaffali di librerie e autogrill. L’irrealtà di questo mondo è palese, è una corrente editoriale che si nutre di mere strategie di marketing, che guarda alla donna come cliente facile da abbindolare: d’altronde gli ingredienti di questa letteratura dell’irrealtà non sono sempre gli stessi? Anche solo chiamarla “letteratura” provoca un senso di colpa immane, ma essendo frutto della penna di molte scrittrici (o “scriventi”), credo sia giusto mantenere una sorta di imparzialità. La letteratura per il pubblico femminile ha origini lontane, mi viene in mente Flaubert, che già ci presenteva Madame Bovary mentre letteralmente si drogava di romanzi d’amore e cavallereschi. Si sa poi che fine ha fatto Emma Bovary… ma questa è un’altra storia. Nel XX secolo questo mercato si è ampliato, assumendo proporzioni apocalittiche. Il pozzo assume quindi tutte le sfumature di grigio, di nero e di rosso che un lettore medio riesce ad immaginare. E caderci dentro non è difficile. Basta essere anche solo lievemente carenti di spirito critico.

Un altro tipo di irrealtà novecentesca e dei nostri giorni che mi preoccupa è quella in cui vivono le scrittrici. Non sono una partigiana della distinzione fra scrittura femminile e scrittura maschile: non credo esistano differenze nè di genere nè men che meno di qualità. Però non posso fare a meno di mettere in evidenza un fatto, che risulta lampante agli occhi di coloro che frequentanto i manuali letterari: nel canone del Novecento italiano le scrittrici sono poche. In quale pozzo oscuro sono cadute le nostre autrici italiane? Nel 1996 Asor Rosa, nelle Opere della Letteratura italiana (Einaudi) ha scelto, per caratterizzare il secolo breve, quarantasette opere, di cui soltanto cinque sono di donne: Una donna (1906) di Sibilla Aleramo, Cortile e Cleopatra (1936) di Fausta Cialente, Nessuno torna indietro (1938) di Alba de Céspedes, L’isola di Arturo (1957) di Elsa Morante e Lessico famigliare (1963) di Natalia Ginzburg. Da notare, inoltre, che non vi è nemmeno un’opera di poesia. Le ragioni dell’esigua presenza di autrici possono essere svariate, come ad esempio la constatazione che le istituzioni che determinano il canone siano eminentemente a carattere maschile, come gli ambienti universitari e letterari. Di certo il pozzo oscuro dell’irrealtà ha fatto scomparire dai manuali di storia letteraria un intero esercito di scrittrici, che solo pochi adepti, solo rari coraggiosi ricercatori universitari, alcuni professori curiosi e alcuni amanti della letteratura vanno a recuperare e a rileggere, ritrovando in esse la verità incorruttibile di opere sconosciute alle masse.

Resta da analizzare il terzo pozzo oscuro dei nostri tempi: il corpo. Nel corso del XX e del XXI secolo il corpo femminile assume significati diversi: corpo sofferente, corpo per generare, corpo da nutrire, corpo da viziare, corpo da toccare, corpo da vedere, corpo da picchiare, corpo da uccidere, corpo da rifare. Il corpo non viene visto quasi mai come tempio dell’anima, ma materia plasmabile, carne da modellare. Forse è diventato perfino un peso che ci trasciniamo, un ingombro che non sappiamo dove mettere, un capro espiatorio per le fragilità umane. Fatto sta che il corpo assume un ruolo di rilievo. La donna esce dal corpo e lo guarda con occhi maschili, assumendo il punto di vista del desiderio maschile, e soprattutto inizia a sentirsi padrona di modificarlo e di renderlo il simulacro della giovinezza. Movimenti femministi si sono impegnati per rendere consapevole la donna dei suoi diritti e del suo corpo. Ora assistiamo alla sfilata di manichini a cui le padrone guardano con compiacimento. Sì, perchè in fondo seggono in poltrona e rimirano dal di fuori i loro corpi messi a nuovo, e non sanno che sono cadute in un pozzo nero, profondo, e ahimé senza uscita. La perdita della grazia, del legame con la natura e le forze ctonie, l’abbandono dei segni più manifesti della maternità, tutto questo è stato più volte denunciato da scrittori e scrittrici. Siamo padroni dei nostri corpi? Si può fare tabula rasa di questa carne? Azzerare il contachilometri del fisico e renderlo eternamente giovane? Il corpo ha preso il posto della mente: deve essere educato, tenuto sempre lucido e non deve mai perdere un colpo. In compenso, nel dolce e tranquillo movimento ondulatorio del sonno della ragione, dimentichiamo che il corpo femminile resta spesso proprietà dell’uomo, che ne fa quello che vuole, fino ad eliminarlo. Dimentichiamo che il corpo fa parte del ciclo naturale, si adegua alle stagioni e al passare del tempo. Dimentichiamo che siamo tutti uguali nella differenza e che quello che rivela maggiormente la nostra natura, non si può sottoporre a nessuna chirurgia plastica: lo sguardo non mente mai.

Caterina Sansoni

Immagine farheen737

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