Recensioni

I ventitré giorni della città di Alba

Scritto da Maria

albaLe recensioni di Connessioni Letterarie

In occasione del 70° anniversario della Liberazione della Penisola dagli invasori tedeschi, appena trascorso, voglio proporvi uno sguardo d’autore sulle vicende della lotta resistenziale che segnò quegli anni. Definito libro d’esordio «di uno scrittore di razza» da Dante Isella, che firma la presentazione a questo volume, I ventitré giorni della città di Alba raccoglie dodici racconti di misura variabile, da poche a molte pagine, ma di un’incisività rara nel panorama della letteratura del Secondo Dopoguerra, valsa ad affermare la personalità di Fenoglio nella decina d’anni trascorsi dall’uscita di questo libro alla morte dell’Autore, nel 1963. La raccolta fu pubblicata infatti nel 1952.

I racconti appaiono suddivisi in due gruppi: i primi sei sono tipici “racconti partigiani”, gli altri sei, pur ambientati in anni vicini alla Seconda guerra mondiale – presumibilmente, perché non sempre sono presenti riferimenti precisi –, sono narrazioni “civili”, non belliche, che rappresentano vicende di personaggi della bassa borghesia e del proletariato, spesso abitanti delle campagne langarole, immancabile ambientazione geografica degli scritti di Fenoglio.

Il primo gruppo di racconti può essere letto come un catalogo di tutte le situazioni della guerra civile – come l’Autore preferiva chiamare la lotta partigiana seguita all’8 settembre ’43 – concentrate tra le colline attorno ad Alba, le stesse che avevano visto Fenoglio come combattente nelle brigate badogliane. C’è la conquista e poi la perdita di un capoluogo, Alba, nel racconto che apre la serie, ci sono agguati, esecuzioni sia di parte partigiana che di parte fascista, o repubblichina, c’è il racconto degli inizi, senza particolari iniziazioni, di un giovane nella lotta partigiana, il timido e insicuro Raoul. Un dato che emerge, probabilmente fedele alla realtà, è la giovane e giovanissima età dei combattenti, che ne spiega anche l’inesperienza e il coraggio, a volte sconsiderato.

In tutti i racconti di questa prima parte ritorna il nome di Alba e l’evento della sua perdita da parte dei partigiani: la cittadina è l’epicentro non solo geografico della regione in cui si muovono i combattenti, ma anche mentale e psicologico, perché tutti i pensieri, le tattiche e le strategie fanno riferimento a quel luogo e a quell’evento. Con la centralità giocata da questo paese si giustifica la scelta del titolo della raccolta, che ripete quello del primo racconto, anche se in origine non doveva essere così: il titolo del libro, scelto dagli editori, tra cui Vittorini e Calvino, con il consenso dell’Autore, doveva essere Racconti barbari, ma fu poi cambiato all’ultimo per decisione del direttore della Casa editrice, Giulio Einaudi in persona.

I racconti del tempo di pace, invece, inscenano dinamiche piuttosto tipiche nella vita delle colline delle Langhe piemontesi: la difficile ricerca di un lavoro onesto all’indomani della Guerra, la differenza fra gente di campagna e gente di città, vicende legate all’infanzia oppure amorose. Quello che emerge è però la strana conformazione dei rapporti interpersonali: i personaggi fenogliani fanno fatica ad amare, nelle famiglie prevalgono sentimenti di rivalsa, opposizioni, a volte odio. Le figure sono mosse da egoismi, in alcuni casi moglie e marito sono animati da reciproci risentimenti e così si trattano male. Questa ruvidità e asprezza dei rapporti umani soprattutto nelle famiglie, che lascia emergere le pulsioni più elementari dell’individuo, riconosciuta fin dai primi critici dell’opera, ne fa un testo molto attuale, in un tempo in cui tanta letteratura e tanto cinema, anche italiani, mettono in scena famiglie in crisi o definitivamente scoppiate; addirittura lì, nelle pagine di Fenoglio, lontane temporalmente, possiamo trovarne l’antecedente.

Ma Fenoglio, con questa sua raccolta, sembra anticipare anche un’altra tendenza, vorrei osare: quella del minimalismo. Lo stile è infatti asciutto, secco, tagliente, come le dinamiche di comportamento messe in scena. Non concede nulla alla poesia ed è costantemente concentrato sui fatti da raccontare e sulle psicologie dei personaggi da esplorare. È una tendenza ravvisabile soprattutto nei dialoghi, efficaci perché rapidi e realistici, in quanto riproducono i modi di espressione di persone di classi sociali medio-basse nel periodo attorno alla metà del secolo scorso. Così spesso la norma linguistica viene infranta per accogliere i tratti tipici del dialetto, trasferiti però nell’espressione di un italiano regionale, mescolato cioè con gli usi del dialetto; i verbi hanno reggenze che in italiano non sono ammesse, alcune parole ricalcano quelle usate tipicamente in quei territori. Fenoglio non si fa mancare nemmeno il turpiloquio e le volgarità, per rendere più efficaci e vicine alla realtà effettiva le parole usate dai suoi personaggi, colti in frangenti drammatici, in vicende in cui il ragionamento e il sangue freddo non si impongono ma prevale il sentimento e la reazione a caldo. Anche attraverso i mezzi stilistici, dunque, i racconti di Fenoglio incidono e si imprimono nella memoria.

Per tutti i motivi esposti vale la pena leggere questo libro, che parla di accadimenti tanto lontani nel tempo quanto vicini a noi per tematiche e stile, che ne fanno un’opera facile alla lettura e godibile, anche se leggermente amara. Ma fra tante vicende di guerra, incontri e scontri sui versanti delle colline e nei paesi delle Langhe, rese con narrazioni rapide e avvincenti, colpisce particolarmente un racconto, che sembra fare quasi da momento di pausa: si tratta di L’acqua verde. Qui il narratore ripercorre gli ultimi momenti e gli estremi pensieri di un giovane uomo che si suicida, lasciandosi annegare in un fiume, così coglie l’occasione per dedicarsi a precise e suggestive descrizioni delle acque del fiume, attente a cogliere tutte le sfumature dei colori, i movimenti della corrente, nonché la vita degli insetti e dei vari animali che ne popolano le rive. Questo descrittivismo, in definitiva, non fa altro che contrastare con la tematica di fondo del racconto, appunto la drammatica scelta del protagonista, ma al tempo stesso rende bene il fluire lento dei suoi pensieri e la progressiva discesa nella determinazione al gesto estremo della morte inferta a se stesso.

Anche in questo modo si rende evidente il talento di uno dei maggiori narratori del Novecento italiano.

Lorenzo Paradiso

 

Titolo: I ventitré giorni della città di Alba
Autore: Beppe Fenoglio
Editore: Einaudi
Anno: 2006

 

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