Prima Considerazione: Il mondo del teatro italiano è dominato da una qual certa chiusura delle compagnia teatrali, siano esse giovani o navigate, che si trasformano troppo spesso in ritrovi più simili a un cenacolo cenobitico che non a un incontro fra artisti. Il mio piccolo atto d’accusa può apparire sterile se non mi esprimo nell’elenco dei soggetti del mio personalissimo “j’accuse”, ma poiché invece dei dibattiti preferisco le critiche positive, dirò subito che fino a questo momento ho infatti salutato sempre con grande piacere il lavoro di Raffaele Imparato, giovane attore di un Posto al Sole, e non per questo meno impegnato nel calcare i palchi, in ultimo con Gang Bang di cui pure vorrei parlarvi, se ne avrò modo.
Seconda Considerazione: Fare teatro è difficile, e non intendo solo recitarlo, intendo scriverlo, dirigerlo, occuparsi delle luci, delle scenografie, è cosa ben più complessa, mi vien da dire, perché è come il telegiornale: buona la prima e nulla più. Per questa ragione preferisco i grandi autori classici. Non perché siano più semplici, ma perché possono assorbire tanta parte delle problematiche mediante la potenza emotiva che la loro grandezza stessa evoca. Il pubblico, cioè noi, è più gentile e ben disposto, e gli artigiani dell’intrattenimento si muovono in piste già tracciate da altri.
Questa premessa è d’obbligo se si vuol cogliere l’entusiasmo quando ho saputo che al Teatro Diana di Salerno davano La Tempesta, di Whilliam Shakespeare. La Tempesta è un’opera anomala, per lungo tempo bisfrattata, nella quale Shakespeare riconquista l’unità aristotelica e, armandosi di dialoghi talvolta copiati “tout court” dai grandi classici greci, narra la storia di un potente stregone, Prospero, un tempo signore di Milano, e del suo piano di Vendetta e Redensione ai danni, e in favore, dei suoi nemici quanto di sè stesso. Prospero è la rappresentazione del Regista Teatrale che usa maschere differenti – in questo caso spiritelli e folletti che spesso nell’opera originale si riferiscono a se stessi come “masks” – per controllare i personaggi, intrappolati in un lembo di terra dal quale non possono fuggire finché l’applauso del pubblico non li liberi.
La Tempesta, in questo caso è stata guidata dalla Regia di Franco Alfano ed Elena Scardino, i quali hanno fatto una scelta, a mio avviso per le ragioni sovra esposte, molto felice. La compagnia teatrale si compone infatti di tutte persone provenienti da differenti compagnie, e con esse ancora attive. Ognuno degli attori ha lasciato il sicuro nido per confrontarsi con altri colleghi nelle medesime condizioni. Soli, in mezzo al mare, in balia della Regia di un perfido stregone. Cogliete l’ironia?
Giunto a teatro, seppur con questa positiva premessa non avevo idea di cosa aspettarmi, ma subito la scelta “musicale” ha incontrato il mio favore. Ogni aspetto sonoro è stato reso infatti da una musica di accompagnamento di chitarra (Giovanni di Donato), percussioni e OceanDrum (Alessandro Ferrentino) molto avvincente e mai invadente. Sicché inizia lo spettacolo vero e proprio e colgo subito il dettaglio che di questa commedia mi ha vinto: per tutti i dialoghi del nostromo, degli ubriachi Trinculo e Stefano e naturalmente di Calibano il demone, è stata scelta la lingua napoletana in sostituzione del testo originale Shakespiriano. Mi permetto di ricordare a qualche “critico sbadato” che ha commentato questa commedia, che tali testi provengono dalla versione della Tempesta scritta da Eduardo de Filippo in napoletano seicentesco, nel 1983. L’idea di questa sostituzione è molto affascinante e quanto meno azzeccata, se naturalmente si tiene conto del testo originale in inglese. Shakespeare si diverte molto a caratterizzare nelle sue opere i suoi personaggi con registri linguistici differenti, poetizzando parole banali laddove il carattere lo richiede, e storpiando per contro quando la maschera è turpe o vile. Vi invito a cercare in rete poiché esiste un vero e proprio dizionario delle “parole di Shakespeare”, ma andando così, a memoria, citerei ad esempio il “Wherefore” in sostituzione di “Why” nella scena del balcone di Romeo e Giuletta e “mow” in sostituzione dell’espressione “make faces” proprio nella Tempesta. La trovata è secondo me molto appropriata, tanto più che crea un muro invalicabile, fra il mondo degli spiriti e degli indemoniati e quello dei mortali e dei sani di mente. I primi istintivi e i secondi macchinatori, nel bene e nel male.
Veniamo ora agli attori. Qualcuno meno bravo di altri v’era, ma va anche detto che La Tempesta è un’opera corale, dove spesso un personaggio ha una battuta o poco più per farsi notare e conoscere. Mi astengo dal giudicare attori di lungo corso come Ciro Girardi e Antonio Grimaldi che hanno tenuto il palco con naturale piglio, come chi entra in una casa che ben conosce. Sicuramente promuovo a pieni voti la teatralità innata e farsesca che ben si associa al suo personaggio di Marco Villani, e veramente mi ha commosso il personaggio di Aldo Arrigo che quasi mi vien voglia di immaginarlo solo a interpretare quel Pulcinella che tanto ho intravisto nascosto sotto le spoglie di Trinculo. Non male neanche il lavoro svolto da Claudio Collano considerando la difficoltà derivante dall’essere ruolo così centrale nell’opera e figura poliedrica e complessa quale quella di Ariel è. Infine le mie lodi di chiusura vanno a Prospero e Miranda, rispettivamente Gino del Bagno e Rosaria Vitolo.
Le loro figure riescono realmente, grazie a regia, differenza di testo e bravura loro, a essere delle figure avulse dal resto.
Rosaria Vitolo riesce veramente a essere quella creatura sempre in bilico fra innocenza, determinazione e vittima delle macchinazioni del padre/padrone, che la “mirabile Miranda” era nelle intenzioni di Shakespeare (sul tema della complessa figura di Miranda consiglio il bel saggio di Herbert Coursen del 2000). Infine Gino del Bagno che tanto ho scoperto dopo, essere fuori dalla scena, timido e riservato, tanto sulle tavole era l’adirato stregone di Milano, che quasi mi sembrava un patriarca rubato alle scritture, con voce potente e ben scandita a ricordarci che “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” (si, è questa l’opera da cui è tratta questa frase).
Sicché avrete ben capito l’opera mi è complessivamente molto piaciuta, e mi spiace non potervi consigliare date ulteriori poiché al momento in programma non ve ne sono, ma meglio così, al fine di validare la sincerità della mia opinione. In chiusura, credo che l’opera “in toto” raggiunga il suo acme verso la fine, nella scelta particolarissima che i registi fanno offrendoci questa scena sognante di Prospero al centro, i personaggi che marciano in cerchio intorno a lui in penombra e Miranda che li guarda dall’esterno, con lo sguardo rivolto al padre. Poiché io credo che in fondo questo sia La Tempesta:
La storia di uno Stregone, e dei personaggi che nolenti o volenti gli danzano intorno, ballando al ritmo dei suoi invisibili incanti, sotto lo sguardo sincero di colei che ama.
Vittorio Lauro