Cultura e società

Svetlana Alexevich: Nobel 2015

Scritto da Maria

L’uomo di oggi non vuole ammettere di non essere onnipotente. «Le nostre centrali sono affidabilissime»: me l’hanno detto in Francia e me l’hanno ripetuto in America. E anche in Svizzera. E l’accademico russo Aleksandrov, il padre dell’atomica sovietica, ha scritto che i reattori sovietici sono sicuri quanto un samovar. Che li si può costruire anche sulla piazza Rossa. Accanto al Cremlino. Ripenso ai miei primi viaggi a Černobyl’ e dintorni: decine di elicotteri in cielo e mezzi militari – carri armati compresi – lungo le strade. Soldati col mitra imbracciato. Perché? A chi dovevano sparare? Alla scienza? Alla fisica? E accanto al reattore in ebollizione gli scienziati che armeggiavano in abiti civili. Senza maschere.

A Černobyl’ non si pensava ancora come Černobyl’’ avrebbe voluto. A Černobyl’ ci si comportava come in guerra. E la trasformazione dell’uomo da precernobyliano a cernobyliano avvenne sotto i miei occhi. Cambiò il mondo. Cambiò il nemico. La morte ebbe facce nuove che non conoscevamo ancora. Non si vedeva, la morte, non si toccava, non aveva odore. Mancavano persino le parole, per raccontare della gente che aveva paura dell’acqua, della terra, dei fiori, degli alberi. Perché niente di simile era mai accaduto, prima. Le cose erano le stesse – i fiori avevano la solita forma, il solito odore – eppure potevano uccidere.

Il mondo era il solito e non era più lo stesso. Lo strato superiore di chilometri di terra infetta venne divelto e sotterrato in sarcofagi di cemento. La terra venne sepolta nella terra. Vennero sepolte le case, le macchine… Si lavarono le strade, la legna… Intanto, alle riunioni del mattino fra chi doveva rimediare alla catastrofe si facevano – prosaicamente – i conti: «Questo ci costerà dieci vite umane…», «Quest’altro venti…». Ma i volontari non mancarono. Dopo quanto accaduto, qualcuno osa ancora sostenere che l’energia atomica è la meno costosa? In questo preciso istante il mondo ha 440 reattori atomici in funzione in una trentina di paesi. 103 in America, 59 in Francia, 55 in Giappone, 31 in Russia. Un numero sufficiente a sentenziarne la fine. Il venti percento del totale delle centrali sorge in zone a forte rischio sismico. In Bielorussia, paese che più di ogni altro ha patito le conseguenze del disastro di Černobyl’, si sta costruendo una nuova centrale in una zona che, cent’anni fa, fu devastata da un terremoto di magnitudo 7. Un terremoto di cui parlano le enormi crepe che ancora si aprono nel terreno. La nuova centrale atomica logora i nervi di un paese che non è stato interpellato in merito. La costruiranno i russi. Sottoscrivendo l’accordo, Putin ha dichiarato che sarà più sicura delle centrali giapponesi. La Russia galleggia nei petrodollari e sta progettando decine di “piccole Černobyl’” galleggianti, decine di piattaforme atomiche da liberare nell’Oceano-Mondo, da vendere all’Indonesia, al Vietnam.

E allora come si fa a non citare Chlebnikov, poeta russo col sogno di un governo universale? C’è qualcosa di mistico nel fatto che, il giorno del disastro giapponese, in America sia stata messa in vendita la nuova versione dell’iPad che ha mandato in visibilio i fan della Apple. Oggi all’alta tecnologia si chiedono solamente comodità e agio. E il mercato concentra gli investimenti soltanto su ciò che è sinonimo di ritorno sicuro. Il nostro “fabbisogno” cresce all’infinito: è questo che chiamiamo progresso. E progresso è anche il perfezionamento delle armi di distruzione di massa. Chiedete alla gente di Černobyl’ che muore per le conseguenze delle radiazioni, chiedete ai giapponesi che si sono salvati per miracolo da quest’ultimo disastro e ai parenti di chi, invece, non ce l’ha fatta che “fabbisogno” hanno, o che cos’è per loro il progresso. Se preferiscono un nuovo modello di cellulare o di auto, oppure la vita.

Dopo Hiroshima e Nagasaki, dopo Černobyl’, pareva ovvio che la società civile scegliesse un’altra via di sviluppo. Lontana dall’atomica. L’era atomica doveva essere chiusa. Andavano cercate altre vie. E invece continuiamo a vivere con la paura di Černobyl’: terre e case deserte, campi che tornano a essere foreste, animali che vivono là dove viveva l’uomo.

Centinaia di chilometri di cavi elettrici morti e di strade che non portano da nessuna parte. Pensavo di avere scritto del passato. Invece era il futuro.

(Svetlana Alexevich, Preghiera per Černobyl)

Il Nobel per la letteratura 2015 è la giornalista e scrittrice Svetlana Alexevich.

In Italia le “Edizioni E/O” hanno pubblicato «La guerra non ha un volto di donna», (sulle donne sovietiche al fronte nella seconda guerra mondiale), «Ragazzi di zinco» (sui reduci della guerra in Afghanistan), «Incantati dalla morte» (sui suicidi in seguito al crollo dell’Urss) e «Preghiera per Cernobyl» (sulle vittime della tragedia nucleare). Nel 2014 Bompiani ha pubblicato «Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo».

Sovietica per nascita, giornalista d’anime per destino.

Maria Mancusi

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