Cultura e società Editoria

Che cosa rimarrà della grafia?

Scritto da Maria

Ogni tanto mi accorgo che la penna ha preso a correre sul foglio come da sola, e io a correrle dietro. È verso la verità che corriamo, la penna e io, la verità che aspetto sempre che mi venga incontro, dal fondo d’una pagina bianca, e che potrò raggiungere soltanto quando a colpi di penna sarò riuscito a seppellire tutte le accidie, le insoddisfazioni, l’astio che sono qui chiuso a scontare.

Italo Calvino

La scrittura è stata questo, ricerca della verità e forse continuerà a esserlo, ma in modi che non sappiamo e che non prevediamo. L’uomo ha usato la penna come uno scalpello. Userà i tasti come un’ascia? Certo, se si pensa al ruolo della grafia, al suo essere traccia, segno di sé, irriproducibile e unico, viene da chiedersi come nel futuro l’uomo esprimerà se stesso in modo digitale. Ve lo immaginate? I grafologi smetteranno di tracciare profili della personalità, i tribunali non si avvarranno più di perizie sulla grafia, persino alcune patologie, come la disgrafia, potrebbero uscirne ridimensionate. Dove finiranno espressioni come “bella o brutta grafia”, parole appunto come “calligrafia”? Rifletterci mette un po’ di malinconia, perché la parola scritta ha il fascino dell’impronta che si lascia, mentre quella digitalizzata sembra per certi versi ancora più effimera e incorporea di quella affidata all’oralità. Perché? Perché non è  multisensoriale, anzi non investe nessuno dei 5 sensi, perché manca di materialità concreta. Direte che non è vero? Direte che anche quella digitalizzata interessa la vista? Vi sbagliate, quello che vedete sullo schermo è un’illusione della macchina e non ha nulla a che fare con la tangibilità dell’inchiostro sulla carta.

Nel corso della storia dell’uomo si sono succeduti i più disparati supporti scrittori, a partire dalla pietra, ma nessun cambiamento ha avuto la portata di questo passaggio dalla parola scritta a quella digitalizzata. L’uomo è naturalmente pronto a cambiare il supporto della sua scrittura, in base alle esigenze di praticità, ma adesso non si tratta solo di questo. Si tratta, per la prima volta, di sostituire lo strumento con cui si scrive, non l’oggetto su cui si scrive. La differenza è sostanziale. Fino a oggi la mano dell’uomo ha impugnato uno strumento attraverso cui si imprimeva un segno grafico mai uguale a un altro, diverso da scrivente a scrivente, ma persino in uno stesso redattore. Questo era garanzia di unicità, perché no, di eternità.

Del resto non si deve credere che la scrittura a mano sia destinata a scomparire. È un’arte come tante e come le altre, probabilmente sopravviverà come la tecnica del ricamo, della pittura, come una pratica artigianale, probabilmente molti faranno in modo di tramandarla, come già sta facendo il Festival delle lettere. I bambini di oggi, nativi digitali, la apprenderanno ancora, ma per un uso molto diverso da quello delle precedenti generazioni. In realtà, anche i loro genitori riescono attualmente a stare lontani dalla scrittura a mano per molti giorni: i blackberry, gli smartphone, gli iphone, permettono di appuntare notizie come su taccuini, di inviare sms e email, che non solo subentrano alla classica comunicazione tramite missiva, ma addirittura, per la loro immediatezza, sono preferiti o preferibili anche rispetto alla comunicazione telefonica. Un mondo futuro che legge poco, o dovremmo dire che legge breve, e scrive breve, facendo ricorso a tante abbreviazioni che annullano gli schemi sintattici e le relazioni logiche della lingua, per motivi di tempo. Ci sarebbe da chiedersi, dopo aver recuperato tutto questo tempo, che cosa sarà rimasto della nostra umanità, in termini di relazioni, in termini di creatività, in termini di espressione dell’io.

Il punto infatti non è la validità del supporto scrittorio. Non si può tornare indietro, sarebbe come se i primitivi si lamentassero che non si sia più disegnato sulle pareti delle caverne. Il punto semmai è un altro: restare umani. E per farlo, la tecnologia del futuro dovrebbe permettere all’uomo di esprimersi nella sua unicità, non appiattirlo nella banalità dei testi, nella semplificazione della sintassi, nella riduzione del lessico, nella spersonalizzazione della grafia. La morte di parti della lingua e di alcune sue consuetudini  corrisponde alla morte delle idee. Sarebbe bello pensare al futuro progettando una tecnologia per l’uomo e non sull’uomo, che conservi le tipicità e le peculiarità del pensiero e che le innovi potenziandole, non distruggendole.

Maria Mancusi

Immagine di corbepippo

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