Attualità Cultura e società

Una riflessione sull’uso del tempo

Scritto da Tonia

Il tempo ha molteplici facce a volte nette, precise, altre sfumate e soffuse. Il tempo si esprime attraverso un continuum dato dalla fusione del passato, del presente e del futuro.

In ambito filosofico il tempo viene definito creativo, statico, dinamico, profondo, fuggente, esteso, tragico, epico, reale, immaginario, soggettivo, universale.

Niente può sfuggire al corso del tempo.

A livello personale e psicologico si vive il tempo in funzione delle proprie aspettative. I processi mentali, le percezioni trasformano i secondi in anni luce e le ore piacevoli in nano secondi. Il tempo si dilata e si restringe a seconda dello stato emotivo, si espande per noia, nei momenti di panico, si restringe quando si ha una vita frenetica, si volatilizza quando si vivono emozioni forti. La sua durata si percepisce in maniera differente a seconda di come ci si pone nei confronti della vita.

Il tempo muta l’ambiente, il paesaggio, il corpo, l’anima. Niente è immune al suo scorrere, tutto si modifica, tutto si trasforma.

Eventi ciclici e ripetitivi come andare al lavoro, fare colazione, festeggiare il compleanno, andare in vacanza, forniscono un orizzonte di sicurezza in un mondo che non si ferma, che inesorabilmente procede verso l’ignoto.

Il ciclo biologico della vita dà un tempo per nascere, per crescere, per studiare, per lavorare, per progettarsi, per mettere su famiglia.

Il tempo industriale del lavoro segna i ritmi di vita di ciascuno. Un tempo per svegliarsi, uno per fare colazione, uno per lavorare, uno riposarsi, uno per mangiare, uno per stare con la propria famiglia. Ciascuno di noi dona il proprio tempo in cambio di denaro. La ricchezza accumulata in cambio della prestazione lavorativa, in cambio del tempo impiegato per produrre, diventa uno strumento utilizzato dalla società per controllare la dimensione temporale.

In una società che corre all’impazzata si rischia di non incontrarsi, di sopravvivere e non vivere per mancanza tempo. Non sono poche le persone che, per mancanza di un lavoro sicuro, si fanno schiacciare dal tempo per trasformarlo in denaro, in ricchezza, in una vita dignitosa. Giovani che arrancano per arrivare alla fine del mese, che svolgono più lavori per sbarcare il lunario, per non far mancare niente alla propria famiglia. Persone che sottraggono il tempo per darlo alle persone che amano, vite che rischiano di non incontrarsi per mancanza di tempo libero.

Con la rivoluzione industriale e gli sviluppi tecnologici avvenuti negli ultimi anni la percezione temporale si è sempre più ristretta. Nell’era postmoderna il tempo è quasi schizofrenico: l’accelerazione nei tempi di produzione, di consumo produce la perdita di senso del futuro in una società che appare fuggevole e volatile.

Il tempo frenetico dell’era in cui viviamo suscita una serie di riflessioni.

Lavoriamo per vivere, per godere dell’esistenza o vivamo per lavorare?

L’uomo, come tutte le cose, ha un tempo finito, una scadenza cui non può sfuggire. Dovrebbe cercare di ricordarselo ogni giorno per vivere appieno e con consapevolezza ogni istante cercando di fare un uso razionale del tempo. Eppure in un momento storico in cui tutto è caduco e mutevole, in cui si è abituati all’incertezza, in cui si vive l’hic et nunc, in cui un minuto prima si ha un lavoro e un attimo dopo si è disoccupati si è troppo preoccupati ad andare ad alta velocità per rincorrere il lavoro, la possibilità di progettarsi, per cercare il proprio posto nel mondo, accumulare il denaro necessario per arrivare alla fine del mese, per garantire un’educazione ai propri figli, per sognare di comprare una casa, per sforzarsi ogni giorno di non arrendersi e non fermarsi di fronte alle difficoltà e agli ostacoli che quotidianamente la vita pone davanti piuttosto che godere degli attimi di cui si dispone.

Un uso sapiente del tempo dovrebbe ricordare che, anche se è talvolta è necessario correre all’impazzata, occorre sempre fermarsi ogni tanto e ubriacarsi di vita.

Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all’orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l’orologio, vi risponderanno: «È ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare.

Lo spleen di Parigi, Charles Baudelaire

Tonia Zito

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