Cultura e società

Le menzogne della maternità

Scritto da Maria

La maternità è ancora la cosa più naturale del mondo, eppure…

Esami, diete, controlli, manuali di puericultura imparati a memoria, ansia da prestazione già alla terza settimana, corsi pre-parto con obbligo di frequenza. E soprattutto l’assalto delle altre madri, le terribili madri perfette, quelle che pensano la cosa giusta, dicono  la cosa giusta, sentono persino le emozioni giuste, che giudicano qualunque cosa si faccia (o non si faccia), a colpi di “io, invece”. E poi la sindrome di Super Woman che vuole le donne belle e desiderabili anche con il pancione, in ufficio fino al giorno del parto, in forma perfetta dopo solo un mese. Dolce mammina che allatta, ma anche grintosa business woman, rassicurante angelo del focolare e insieme compagna sexy e brillante. Per non parlare degli altri, quelli che la maternità la stanno a guardare e che sanno solo oscillare tra due osservazioni: “Cara! Da dietro sei uguale!”- che poi bisognerebbe capire uguale a chi, a che cosa? – oppure  “Come cresce questo pancione, è sempre più grande!” – come se l’evidenza non fosse già abbastanza evidente, come se la felicità dipendesse dalle dimensioni di una pancia.

Ecco, ce n’è abbastanza per avere voglia di scappare…

La verità? La maternità, che un figlio sia desiderato, programmato o inaspettato, è una questione di identità. Di difficile identità. A tal punto che, quando si legge su riviste, cartelloni pubblicitari, confezioni di prodotti per la gravidanza “Auguri, siete in dolce attesa”, verrebbe solo da dire: “Un momento, aspettate un po’ con questo entusiasmo, un momento, non me ne sono ancora resa conto”. Per ora, tutto non ha ancora a che fare con il neonato. Per ora solo segni esterni come la pancia che si ingrossa, la nausea, la stanchezza, la pirosi (di lei) e anche i malumori, i timori, l’euforia e molte altre sensazioni che tallonano la signora incinta.

Tutto qui. Un corpo che cambia e che si sente cambiare anche quando all’esterno ancora la nuova vita che cresce è invisibile. E questa prima sensazione si accompagna a una più terribile, la sicurezza matematica che nulla più sarà come prima. Non è questione dei chili in più o in meno. Quelli si perdono e si mettono in modo fisiologico. Il punto è che il corpo dove nasce un’altra vita non sarà più esclusivamente della madre. E quasi da subito si perde quel contatto diretto con le proprie membra, che non rispondono più agli stimoli di sempre, che non seguono più il ritmo della vita di prima. Condividere il corpo con un essere che dipende dalla madre, che in parte appartiene a lei, e per molti aspetti invece no. Imparare a scoprire i suoi ritmi sonno-veglia, mai uguali a quelli dell’organismo ospitante, quasi trovare un accordo per la comune sopravvivenza, aspettare ogni giorno un nuovo fastidio, un nuovo sintomo della gravidanza che si aggiunge agli altri per far ricordare al corpo, alla mente che non si è più unici per se stessi. Ed eccoli sfilare, mese dopo mese: nausea, sonnolenza, stanchezza, cistiti, vaginiti, dermatiti, stipsi, lombosciatalgie, infiammazioni emorroidarie, minacce d’aborto, contrazioni, diabete gestazionale, minzione continua, pesantezza nei movimenti, affaticamento, etc., etc.

E lui? Il futuro padre? Il compagno scelto? Non si sente ancora “attaccato”, oppure ancora non capisce, né capisce la volubilità di lei o che per lei non è così facile. I problemi di sostentamento e di alloggio, la perdita dello status di scapolo quasi eterno, la sensazione quasi di repulsione del corpo di lei ogni giorno più diverso da quello che ha amato, la paura di perdere l’equilibrio della relazione a due lo accompagnano, oppure se ne sta su una nuvola, si innamora ancor più della compagna, in ogni istante di nuovo, accarezza la pancia, in attesa che lui o lei escano finalmente fuori. E in entrambi i casi le donne percepiscono questi atteggiamenti come insopportabili. Nel primo caso perché si ci sente abbandonate in una solitudine senza scampo, nel secondo perché l’essere madre prende il sopravvento sull’essere moglie, sull’essere compagna, amante, donna. E non c’è alternativa. La sicurezza che il neonato avrebbe rafforzato i rapporti e l’amore si è arenata. E “che si fa adesso?”. Bisognerà passare un cambiamento, grande, gigante, enorme, un cambiamento che influenzerà la vita quotidiana, la spontaneità e l’indole mentale e sentimentale, che trasformerà lei e lui, in generale e con le dovute eccezioni, in individui più sensibili, più ansiosi e più posati.

La sensazione di essere sole, di non essere una madre abbastanza buona perché non si vuole rinunciare a se stesse, perché non si vuole vivere la maternità come fosse una malattia, il timore che è finita la vita e che qualcosa si è impadronito di te, e che non ci si riconoscerà mai più allo specchio, e tutta una serie di sensazioni molto reali che cominciano quasi tutte con le parole ” in vita non” o “più non” possono diventare frequenti. Ovviamente non succede a tutte le donne, almeno non a quelle che preferiscono vedere solo il bello dell’esperienza della maternità.

Poi c’è il mondo esterno: le strisce rosa per parcheggiare, i posti riservati nei treni, la gentilezza e i sorrisi dei passanti, la curiosità sul sesso e sull’epoca di gestazione da un lato, dall’altro il nervosismo per privilegi ingiustificati come, per volerne citare uno solo, la possibilità di saltare file in molti uffici o asl, l’astio delle altre donne, quelle che vorrebbero essere madri e non hanno il tempo o quelle che lo sono e avrebbero preferito non esserlo, la disapprovazione dei datori di lavoro perché le maternità, per loro, capitano sempre nel momento sbagliato.

Così essere donne, mogli, lavoratrici, senza rinunciare a essere madri, ma con l’incognita nuova del “chissà se ne è valsa la pena”, con la paura di perdere improvvisamente tutto, lavoro, amore, vita privata. E per fortuna non si trova mai il tempo di rispondere a questa domanda, la sfida è dimostrare che si può essere tutto. Allora bisogna organizzarsi: sonnecchiare sui treni o le metro, vomitare nelle pause dal lavoro, aggiornare il guardaroba, non smettere di essere seducenti, mantenere per il compagno le attenzioni di sempre perché non percepisca diversa la compagna e si senta escluso dalla sua vita emotiva, fornirsi di panciere per la sciatica, frequentare la palestra per mantenere la forma fisica, fare yoga per imprimere la serenità a un corpo che l’ha già persa, non dimenticare di mantenere le case brillanti e pulite senza bisogno di nessuno.

Tutto perché le donne possono, tutto perché la maternità non cambia nulla o non deve cambiare nulla. Non importa che sia vero, importa che sia credibile.

E allora? Una sensazione di vuoto cosmico e di profonda incomprensione, eppure…

Piano piano, passo passo, succederà. Si incontrerà qualcuno o qualcosa che darà l’illuminazione. Si ci abituerà a essere genitori, si troverà la via per esserlo come lo si vuole. Si imparerà che anche i genitori possono realizzare la coppia e la vita privata e, in breve, che la vita ha solo seguito il corso. Torneranno in mente gli sguardi di tutte le persone che si sono incrociate, si ripercorreranno i loro sorrisi e si capirà che cosa c’era dietro: il fascino per il miracolo della vita. Questo non renderà migliore la maternità, ma la renderà completa col suo lato A e il suo lato B, non risponderà alla domanda del “ne è valsa la pena?”, ma darà la certezza che un giorno sarà possibile rispondere con consapevolezza in un senso o in un altro.

Maria Mancusi

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