Cultura e società Interviste

Dianora Bardi ci racconta il progetto Impara Digitale

Scritto da Tonia

Impara Digitale promuove una didattica innovativa che usufruisce dei benefici della tecnologia digitale. Una didattica che nell’era digitale, dovrebbe rappresentare la normalità e non l’eccezione. Quando è nato il progetto e come è stato accolto dalla scuola italiana?

La sperimentazione di questa nuova didattica è nata nel 2010. Io sono stata la prima in Italia a mettere i tablet nella scuola e ho fatto degli studi, delle ricerche, su come strutturare un metodo didattico che fosse innovativo, diverso dal solito per poter permettere che queste tecnologie fossero utilizzate in maniera positiva nell’ambito della scuola, senza spaventare i docenti ma trasformando il modo di interagire con i ragazzi e anche tra i docenti stessi. Nel 2012 su questo modo di fare scuola, su questo modello didattico è nato il centro studi Impara Diditale, precisamente il 20 marzo 2012, quindi un anno fa. Però in un anno è praticamente esploso per cui abbiamo convenzioni con case editrici, con aziende che stanno credendo nella nostra ricerca, nel nostro fare ricerca, per cui stiamo portando in giro per l’Italia questo metodo, che è stato ingegnerizzato e strutturato. Ci vuole tempo, la scuola italiana ci guarda sempre con grande interesse e con grande sorpresa… siamo la testimonianza che si può fare. Noi siamo tutte persone che, io per prima, non l’abbiamo inventato sulla carta ma attraverso le esperienze in classe. È molto differente questo, se lei veramente lo ha provato, lo sperimenta, lo prova tutti i giorni con i ragazzi, lo modifica tutti i giorni, questo i docenti lo avvertono, sanno che io parlo il loro stesso linguaggio. Da un lato sono un po’ spaventati perché comunque è un modo molto diverso di fare scuola, dall’altro però ne apprezzano il fatto che se ci siamo riusciti noi ci possono riuscire anche loro. In parole povere è un esempio che loro hanno e verso cui mostrano un grandissimo interesse sicuramente.

Lo sviluppo della tecnologia digitale e la sua presenza nella quotidianità di ciascuno attraverso i dispositivi mobili ha modificato il modo di relazionarsi al mondo. Quali sono le conseguenze sulla didattica? Quali sono i riflessi sull’apprendimento degli studenti?

 Il fatto che le tecnologia ormai faccia parte del mondo soprattutto dei ragazzi, dei giovani è assolutamente indiscusso e quindi è chiaro che noi docenti ci siamo dovuti adeguare a fare una scuola che permettesse ai ragazzi di utilizzare al meglio queste tecnologie. Noi continuiamo a concentrarci troppo sulle tecnologie, secondo me, dal mio punto di vista, continuare a guardare le tecnologie e parlare di tecnologie è sbagliato, nel senso che la tecnologia è uno strumento, come lo è il libro, come lo è la carta, come lo è la penna, quindi i nostri studenti devono essere assolutamente liberi di utilizzare tutto ciò che serve loro per studiare meglio e per avere un apprendimento personalizzato. È chiaro che con la tecnologia, che ci permette di essere continuamente in internet, che ci permette di essere continuamente connessi non soltanto alla rete ma anche tra di noi, i ragazzi tra i ragazzi, i ragazzi con i docenti, c’è interscambio di materiale nella rete. Cioè la rete diventa l’ambiente di condivisione, il nuovo ambiente di apprendimento. Ecco la modificazione sostanziale è proprio questa che noi ci proiettiamo verso le nuvole, infatti io parlo sempre della scuola delle nuvole ma in maniera molto seria, nel senso che la nuvola e la rete diventano l’ambiente dove si interagisce a enorme distanza e in qualsiasi momento, quindi è un po’ una scuola senza pareti, dove le pareti scolastiche vengono assolutamente abolite e si va decisamente oltre. Questo porta i ragazzi a collaborare molto di più e anche i docenti imparano a collaborare insieme tra di loro e con i ragazzi. C’è quindi molta laboratorietà, molto lavorare in gruppi nell’interscambio dei documenti, per fare dei percorsi che non siano soltanto della singola materia ma che permettano al ragazzo di usufruire delle conoscenze che gli possono derivare da tutte le materie che si stanno svolgendo in quel momento. Lei immagini, in un tablet i ragazzi hanno tutto, hanno tutti i quaderni digitali, hanno tutti i libri, hanno i loro appunti, hanno ciò che il docente dà loro, hanno la possibilità di andare a prendere anche informazioni dalla rete, quindi è come se avessero una biblioteca immensa in mano. È chiaro che se noi pensiamo di andare in classe e fare una lezione frontale dove io spiego e il ragazzo prende soltanto gli appunti sbagliamo completamente perché allora la tecnologia diventa uno strumento di distrazione, perché il ragazzo si annoia. Il punto focale, invece, è rendere protagonista il ragazzo, cioè far lavorare il ragazzo e farlo diventare protagonista del suo percorso di apprendimento. La tecnologia in questo senso serve moltissimo. La tecnologia deve essere vista proprio come uno strumento, il focus è fare una didattica diversa. Io punto tantissimo su questo concetto e su questo argomento, cioè non può più esistere la vecchia e tradizionale forma di fare didattica, perché il ragazzo veramente dopo cinque minuti con il tablet in mano, con un docente che spiega per due ore, lei si immagina cosa fa il ragazzo? Il ragazzo se ne sta a giocare, a chattare o a fare altre cose, perché non è protagonista, perché comunque rimane passivo, perché comunque non è coinvolto, poi noi gli diamo uno strumento in mano per cui lui può fare ciò che desidera, si figuri… invece se noi li rendiamo protagonisti, li facciamo lavorare, li facciamo lavorare in gruppo, diamo a loro la modalità di crescita per sviluppare il loro apprendimento, e il docente è accanto a loro per aiutarli in questo percorso, allora il ragazzo usa la tecnologia come uno strumento utile. Guardi che i ragazzi sono estremamente maturi, sono molto più maturi di quello che noi pensiamo, loro sanno distinguere benissimo quando usare la tecnologia per divertirsi e quando usarla per scopi didattici. Certo, però, devono capire che cosa farne a livello didattico e per capirlo bene è necessario che il docente glielo insegni e che sappia come utilizzare positivamente queste tecnologie nella didattica.

Mi racconta una lezione tipo digitale? Come si svolge?

È un po’ complicato. Non è così semplice da raccontare… noi in questo momento siamo nove classi che lavorano tutte insieme come se fossimo un unico consiglio di classe. I docenti si riuniscono e fanno una programmazione che diventa uguale per le cinque prime e uguale per le quattro seconde. Decidiamo il percorso che le classi devono fare in un arco di tempo stabilito: vogliamo parlare dell’acqua, del cittadino, dell’uomo, della città, l’argomento che lei desidera che, naturalmente, stabilisce il consiglio di classe. Noi docenti facciamo un progetto in cui recuperiamo tutte quelle conoscenze che noi normalmente spiegheremmo in classe in una lezione tradizionale. Mi spiego: le conoscenze sono sempre uguali, non cambiamo le conoscenze dei ragazzi, non le modifichiamo ma le impostiamo in un modo molto trasversale. Ha presente le tesine della maturità, tanto per capirci, per fare un esempio, allora il ragazzo dovrebbe fare un lavoro interdisciplinare, multidisciplinare e fare un percorso in cui gli approfondimenti vengono presi da fonti molto diverse che non sono solo il libro di testo. È chiaro che la tesina la fa il ragazzo, noi, invece, facciamo dei progetti, dei percorsi trasversali: l’uomo e la natura, Dio e l’uomo nel Medioevo, la bellezza dal Rinascimento al Romanticismo. Tutte le materie allora in quel periodo di tempo svolgeranno le lezioni focalizzando la propria attenzione su quel determinato argomento. Dopo di che si entra in classe, si spiega ai ragazzi qual è il percorso che loro devono svolgere, ogni docente spiega in base alla propria disciplina ma facendo vedere ai ragazzi che il percorso è multidisciplinare. Gli studenti, quindi, possono attingere a Storia, Filosofia, Italiano, Storia dell’Arte, Lingua, come desiderano perché comunque il percorso è condotto da tutti i docenti contemporaneamente. Noi diamo delle indicazioni di tempo, ad esempio io entro in classe e dico: “Oggi abbiamo due ore di tempo, in queste due ore oggi affrontiamo questo argomento non so, il viaggio da Enea al cyber spazio. Allora dividetevi in gruppi.” Ogni gruppo decide un argomento specifico: chi farà il viaggio di Enea, chi farà il viaggio di Ulisse, chi farà il viaggio nell’oltretomba, chi farà il viaggio all’interno dei Promessi Sposi, cioè io do dei temi specifici e spiego loro come li devono affrontare. I ragazzi si mettono in gruppi in maniera assolutamente libera, non li stabilisco io, li fanno loro, incominciano a lavorare avendo a disposizione talvolta il libro di testo… noi abbiamo in classe moltissimi libri cartacei, quindi loro hanno a disposizione i libri di carta e la rete dove trovano tutte le informazioni. Tutte le informazioni vengono studiate e catalogate. Io do ai ragazzi tutti gli indicatori per navigare in maniera corretta nella rete, per stabilire qual è un sito scientificamente valido e quale non lo è, qual è un video scientificamente valido e quale non lo è, e in base a questi indicatori i ragazzi fanno tutte le loro ricerche. Dopo di che catalogano tutto il materiale, questo in gruppi di quattro cinque persone. Poi mettono tutto questo materiale catalogato nella rete, in Dropbox. Questo accade nella mia classe e in contemporanea può accadere in altre classi. Con estrema facilità i miei studenti prendono la sedia in mano e si spostano in un’altra classe dove magari c’è un docente di una materia differente, ad esempio io insegno Latino, di là c’è Storia dell’Arte, i ragazzi vanno nell’altra classe, si mischiano con i gruppi dell’altra classe perché magari stanno approfondendo un argomento che a loro interessa. Quindi loro hanno la massima libertà di spostarsi all’interno delle classi dei docenti che sono disponibili, possono interscambiare tutto nella rete e mettere tutto in Dropbox. Tutte e cinque le classi prime lavoreranno quindi come se fossero un’unica classe, un unico gruppo e metteranno tutto quanto nella rete. Noi docenti controlliamo tutto il materiale che loro hanno selezionato, lo discutiamo nella classe per vedere ciò che è valido e ciò che non è valido. Dopo di che i ragazzi mettono il materiale selezionato in un ambiente wiki, tipo wikipedia, e lì cominciano, non so in centocinquanta, a scrivere i testi finali. Fanno quindi una coscrittura collaborativa nella rete che noi docenti controlliamo passo passo. Quando hanno finito questa scrittura creativa avranno creato un unico documento per ogni argomento trattato che noi controlliamo. Loro devo riscrivere tutto, quindi devono leggere tutte le fonti tutti quanti, cartacee, digitali, i libri di carta, tutti devono aver letto tutto, quindi devono riscrivere l’argomento finale. Sono obbligati a riscrivere, riscrivere, riscrivere perché la prima stesura non va mai bene. È molto difficile per loro riscrivere in gruppo in modalità wiki per cui io scrivo una frase, tu me la stai cancellando o mi metti altre cose come se fosse wikipedia per capirci, soltanto che lo fanno su testi culturalmente studiati. Questo, però, è solo un esempio, ci sono diverse tipologie per fare questi lavori.

È difficile immaginare di lavorare in questo modo con classi numerose.

Noi abbiamo classi da trenta ragazzi, le prime che lavorano insieme sono cinque classi, quindi sono centocinquanta ragazzi che lavorano nella rete come se fossero una classe sola. Ma noi siamo molto avanti però, noi siamo una sperimentazione molto avanzata, gli altri non fanno così, gli altri lavorano solo all’interno della propria classe.

Il corpo docente come si rapporta ai nuovi strumenti offerti dallo sviluppo tecnologico?

Male, assolutamente male. Nel senso che, detta così come gliel’ho raccontata, può sembrare una cosa molto semplice ma non lo è. Evidentemente far lavorare i ragazzi in questa maniera vuol dire prima di tutto che il docente deve scendere dalla cattedra e si deve mettere a lavorare con i ragazzi. Seconda cosa deve partire dal concetto che i ragazzi sono molto più bravi di noi con le tecnologie e questo manda in crisi gli adulti, i docenti. Terza cosa i docenti hanno una grandissima difficoltà a lavorare insieme, docente con docente dico proprio, non con i ragazzi. Per i ragazzi è molto più spontaneo lavorare in gruppo, interscambiarsi. I ragazzi chattano, si mandano gli sms, vivono nel mondo virtuale, per loro è proprio un loro modo di comunicare per gli adulti no. Interscambiarsi continuamente materiale o dare la possibilità ai ragazzi di interagire con gli adulti anche fuori le pareti della scuola, questo modo di lavorare così in gruppo nella rete ci porta ad essere abbastanza a disposizione dei ragazzi. Cioè se il pomeriggio i ragazzi stanno lavorando a casa loro, ma virtualmente stanno chattando, cioè hanno ricostruito il gruppo della mattina e hanno bisogno di una spiegazione, è facilissimo che ci chiamino in Skype, in Facetime, quello che è, e noi rispondiamo. È chiaro, quindi, che una cosa di questo tipo vuol dire ribaltare molto il modo di fare scuola di un docente che era abituato a un unico libro di testo, a fare la sua lezione, il ragazzo prendeva gli appunti, ripeteva quello che il professore aveva detto o studiava sul libro e la cosa finiva lì. Ora invece si immagini che i professori devono progettare percorsi, i ragazzi devono leggere tantissime fonti. Guardi che la lamentela più grande dei ragazzi è questa, che loro devono leggere molto di più degli altri, questo però sviluppa molto anche il senso critico. Se io ho dieci libri di testo differenti che parlano dello stesso argomento imparo anche a capire perché uno dice una cosa e perché uno ne dice un’altra, quindi c’è anche uno sviluppo della critica, della riflessione, della riscrittura. Però il professore si deve mettere lì e reimpostare… non è più colui che trasmette il suo sapere, ma deve seguire il ragazzo perché chi è il protagonista che crea tutto è ragazzo, non è il docente, è il ragazzo. Io ho cinquantanove anni, quindi sessanta e mi creda per i miei colleghi che insegnano da tanti anni quanto me, ma anche per quelli che insegnano da meno anni, l’idea di avere dei ragazzi che in classe lavorano in gruppo, si alzano, si spostano, si scambiano, aprono i libri, vanno al computer… se lei entra in una mia classe c’è un apparente caos, gente che si alza, che va, che sbriga, che si scambia materiale… però io li lascio lavorare perché è come una bottega medievale di fatto, quindi loro si possono spostare, muovere, aprire libri, scambiarsi documenti come vogliono. Questo spaventa tantissimo, spaventa veramente tanto… per cui i miei colleghi un pochino alla volta sono entrati nell’idea. Siamo partiti da una classe, il secondo anno ne abbiamo fatto cinque, l’altro anno ne abbiamo fatto nove e poi l’anno prossimo ne abbiamo undici. Si sono convinti perché i risultati sono molto buoni anche perché ragazzi non si può tornare indietro, è questo il problema. È come se noi dicessimo da oggi in poi nessuno telefona più col cellulare perché il cellulare fa male, perché non siamo capaci di gestirlo. Ormai fa parte della nostra vita e per i ragazzi la tecnologia fa parte della loro vita, non gliela puoi togliere, perché loro comunicano in quel modo lì, studiano in quel modo lì, con quegli strumenti. Se glieli togli è come dire io spengo la televisione perché non mi piace e guai a chi guarda la televisione, non la televisione c’è e la guardano tutti, e mi dispiace se non ti piace affari tuoi, la guardi lo stesso. Ormai la tecnologia fa parte della vita dei ragazzi quindi togliergliela o far finta che loro non ce l’abbiano, insistere sul vecchio modo è sbagliato. Non li recuperiamo, guardi vuol dire che la scuola si mette su un alto monte e si allontana dalla società, fa l’accademia, quella che si mette sull’alto del monte, discute dei massimi sistemi con ragazzi che si annoiano terribilmente, che non capiscono il valore della scuola nella società. Se noi vogliamo dare un valore alla scuola e far diventare i ragazzi veri cittadini, questi non sono più cittadini normali, questi sono cittadini digitali, quindi non possiamo non tener conto di una società cambiata. Io incontro migliaia di docenti e sono tutti molto spaventati, molto spaventati e hanno ragione, anche perché non c’è nessuno che fa formazione su queste cose e questo è il punto.

Sarebbe aupicabile che la Scuola Cloud, senza barriere, coinvolga la scuola su scala nazionale, una previsione possibile o utopica?

Teoricamente dovrebbe essere possibile, bisogna capire le istituzioni, il ministero cosa decidono di fare. Noi stiamo facendo un movimento, mi consenta questo temine, senza alcun riferimento di base. Quando io ho avuto un dialogo col ministro Profumo lui mi ha detto: “Incominci lei che è nel mondo della scuola, incominciate che poi lo metteremo a sistema.” Noi lo stiamo facendo partendo proprio dalla base, dalle scuole, dagli studenti, dai docenti, però è chiaro che per diventare strutturato ci vorrebbe un ministero che l’appoggiasse, un’agenda digitale che prendesse in seria considerazione queste necessità. Guardi che quaranta milioni di euro hanno stanziato adesso per quattordici regioni italiane per comprare tecnologie, lei si rende conto, solo in Lombardia ne hanno speso l’anno scorso dodici milioni e mezzo per dare tecnologie tablet alle scuole, dodici milioni e mezzo. C’è l’invasione delle tecnologie a livello nazionale, ma se non si dà un’impostazione didattica guardi che diventa un danno terribile. Un danno terribile perché non sapere cosa fare con quelle tecnologie e il docente entra in classe e fa finta che non ci siano è veramente un boomerang per la scuola italiana. Io auspico quindi che ci sia un nuovo ministro che prenda in seria considerazione un aspetto fondamentale che è quello di formare i docenti ma in maniera seria, non teorica perché purtroppo noi siamo abituati alle formazioni fatte dalle università. Con tutto il rispetto che io ho per le università, io vengo dal mondo universitario, ho lavorato anche ultimamente dodici anni all’università, per me sono fondamentali a livello teorico, ma i docenti in questo momento hanno bisogno di qualcosa di molto pratico, di molto pragmatico, veramente di una didattica vissuta, cioè di qualcuno che spieghi loro, nel momento in cui io entro in classe che cosa devo fare. Ecco sembra complesso ma non lo è, è chiaro che ci dovrebbero essere le istituzioni. Se le istituzioni saranno sensibili a questo argomento, non lo so, è auspicabile, se non lo fanno la scuola, per me, subisce un danno enorme, perché veramente poi le tecnologie fanno male.

L’interazione tra dispositivi e contenuti digitali come influisce sulla capacità di problem solving e sul pensiero critico degli studenti?

Beh, quello che le dicevo prima, il fatto di avere a disposizione moltissime fonti, che sono sì le fonti digitali, ma possono anche essere le fonti cartacee, non necessariamente solo digitali… il digitale non è che sostituisce il cartaceo, il digitale integra il cartaceo, non lo sostituisce. In tutti i sensi la didattica innovativa non abbandona la tradizionale, la integra, non è che il tradizionale viene abbandonato del tutto. Avere a disposizione moltissime fonti comporta proprio quello che le dicevo, cioè la capacità e la possibilità di uno sviluppo del pensiero critico, e anche a fronte di un percorso che i ragazzi comunque devono compiere e di una progettazione che loro hanno ben chiara, con dei paletti estremamente chiari, con dei problemi che loro devono risolvere, è chiaro che la tecnologia aiuta moltissimo. È come le dicevo, leggere dieci critiche su Leopardi o dieci versioni su Leopardi diverse fa sviluppare allo studente e al gruppo che con lo studente sta lavorando supportato dal docente una dinamica di analisi delle informazioni che loro hanno a disposizione che non avrebbero se avessero davanti soltanto un libro di testo unico. Quindi per loro è fondamentale. I ragazzi navigano nella rete senza avere un minimo di cognizione, io non è che voglio buttare giù i ragazzi, non è colpa loro, ma sicuramente non hanno idea anche solo delle leggi che vigono, che ci sono, Creative Commons, il Copyright, cose che loro devo studiare e capire molto molto bene. E quindi avere tante informazioni va bene, ma vanno selezionate, vanno catalogate, e bisogna anche capire che ci sono delle informazioni che sono scientificamente valide e altre no, e i ragazzi questo non lo distinguono assolutamente. E tutto questo fa sviluppare ovviamente il pensiero critico in maniera notevole, molto più che avere un libro in mano e ripetere a memoria quello.

La precarietà della vita e l’indeterminatezza del futuro ha ucciso i sogni degli studenti di oggi, che sembrano rassegnati a una vita senza certezze. La Scuola Cloud senza barriere può ridare agli studenti la capacità di sognare?

Assolutamente sì, assolutamente sì, perché noi siamo molto in contatto con le aziende e questo è estremamente importante. Noi stiamo cercando di capire che cosa in effetti l’azienda desidera, cioè qual è il nuovo modello di giovane che si deve immettere nel nuovo mondo del lavoro. Allora fino a ieri chi era? Era quello che usciva dall’università, magari col 110 e lode, che sapeva tutto di quello specifico argomento, che si poneva nell’azienda e assumeva un determinato ruolo, giusto? Oggi invece che cosa accade, che con la specializzazione che c’è, la parcellizzazione del sapere nelle aziende, ogni azienda è specializzata in qualcosa di molto specifico. Quando uno studente arriva nell’azienda di solito l’azienda che cosa fa? Gli fa uno stage, gli insegna che cosa fa l’azienda, quindi l’azienda non ama più lo studente che magari è molto rigido, l’azienda oggi vuole un giovane che sappia risolvere problemi, essere autonomo, usare le tecnologie per risolvere appunto i problemi, essere sempre interconesso, adattarsi a contesti diversi, sviluppare competenze a seconda del lavoro che gli si pone di fronte, essere disponibile a spostamenti da una tipologia di ufficio ad un’altra. Lo studente deve essere molto malleabile a essere all’interno di realtà differenti, deve sapersi muovere in un contesto globale quindi anche virtuale. Quindi l’azienda oggi vuole un tipo diverso di ragazzo, di giovane che arriva nel mercato del lavoro. Purtroppo la vecchia scuola, la scuola tradizionale non prepara i ragazzi a questo mondo diverso. Noi con le aziende parliamo moltissimo, le aziende oggi preferiscono magari talvolta non prendere il laureato ma prendere il ragazzo sveglio, dinamico, intelligente, che si adatta a tutto, magari che ha fatto solo la scuola superiore, un liceo, un istituto tecnico. Talvolta è più difficile trovare lavoro da laureato che da diplomato, ma perché? Perché l’azienda poi ti insegna lei il mestiere che devi fare. Quello che loro vogliono è la capacità di autonomia, di adattarsi al contesto, di risolvere appunto i problemi e saper usare le tecnologie, perché in un mondo globale qual è quello di oggi non puoi non saperlo fare. Quindi il nostro modo, la scuola nel cloud, o il modo di usare la tecnologia in questa maniera, dal nostro punto di vista è in perfetta sintonia con quello che il mondo del lavoro oggi vuole. Quindi secondo me i ragazzi oggi non trovano il posto di lavoro anche perché non sono preparati psicologicamente e culturalmente a questo. Noi abbiamo fatto adesso il meeting nazionale degli studenti della scuola digitale del futuro, il 5 di aprile, dove ho messo al centro i ragazzi, erano milleduecento persone e ho messo in platea gli esperti a rispondere alle richieste dei ragazzi. Questo problema è venuto fuori chiarissimamente e gli adulti, gli esperti, i rappresentanti di Confindustria che avevamo in platea, i delegati della formazione nazionale di Banca Intesa, hanno risposto proprio in questo modo: “Ragazzi noi desideriamo avere una tipologia di giovane diverso, che magari non sa tutto, ma che sa adeguarsi a tutto.”

Lo sviluppo della tecnologia digitale quali riflessi avrà sulla scrittura? E sulla letteratura in genere?

Quando io ho iniziato a pensare a questo nuovo modo di fare, a questa sperimentazione, a questa didattica così differente, il punto di partenza era proprio questo che i ragazzi scrivevano molto poco e leggevano molto poco. Con questo metodo didattico che io ho proposto e che sto portando in giro, come le dicevo, il fatto di dover leggere molte cose e riscriverle, non copia e incolla, il copia e incolla è rigorosamente vietato, ma proprio rielaborare e riscrivere serve proprio a sviluppare sempre di più questa abilità, questa competenza che i ragazzi altrimenti non avrebbero… perché i ragazzi è comprovato dopo tre righe perdono la concentrazione, scrivono in una maniera improponibile a chiunque lo legge dall’esterno, cioè io quando leggo uno sms di un mio studente mi prende un colpo, non capisco niente. Quindi è chiaro che per loro… se non li abituiamo noi alla rielaborazione continua il digitale può sicuramente danneggiare quella forma di scrittura elaborata, complessa, completa, cui tutti noi siamo stati abituati, perché si tende a essere il più sintetici possibili, c’è il correttore automatico, scrivi due righe e in due righe dici tutto quanto, vai avanti con gli sms o delle mail, per carità non più lunghe di quattro righe se no non le legge nessuno eccetera, eccetera. Questo si sente, si sente moltissimo, perché non c’è più il senso dell’ortografia, della grammatica, della sintassi. Non le dico quello che scrivono gli studenti oggi, guardi lasci perdere, è un delirio. A livello ortografico, la scuola con la q, è il meno che ti può capitare insomma. Quindi è chiaro che è anche lo scopo della scuola quello di farli invece scrivere, scrivere, scrivere, scrivere e per fare questo devi usare i loro mezzi di comunicazione. E quindi noi, il mio scopo è proprio quello di farli leggere e scrivere molto ma utilizzando gli strumenti a cui loro sono abituati.

Che tipo di conseguenze avrà la tecnologia sulla letteratura?

C’è un nuovo modo di scrivere, comunque la letteratura subirà un mutamento in confronto alla letteratura tradizionale, sono proprio delle modalità differenti… la lettura è una lettura sociale, è una scrittura sociale e quindi secondo me la letteratura cambierà notevolmente in confronto a quello cui noi siamo stati abituati. Noi, dico io della mia generazione, ma anche, i trentacinquenni, i quarantenni sono stati abituati a una letteratura di un certo tipo. Ora esiste la lettura e la scrittura sociale, cosa che prima non esisteva, quindi credo che sicuramente la letteratura ne subirà delle modificazioni. Guardi soltanto i libri di testo come si stanno modificando e questo la dice lunga. Non esiste più il testo strutturato che ha un inizio e una fine, ma tutto viene rielaborato, è una scrittura liquida in un certo senso, una rielaborazione continua. E quindi io credo che la letteratura subirà necessariamente una mutazione dovuta a questo nuovo modo di comunicare, ma è fondamentale… non credo non ci possa essere, non che io non ami la letteratura tradizionale, ci mancherebbe altro, e mi auspico sempre che ci sia. Io ad esempio nella mia scuola faccio la lettura sociale: dove si prende un testo si mette in condivisione simultanea, tutti lavorano su quel testo e c’è l’espansione del testo verso l’esterno, si mettono link, si condividono note, si amplia il testo all’esterno e già questa è una modificazione. Io penso che la scrittura avrà un tipo di modificazione di questo tipo.

Per concludere un messaggio ai lettori di Connessioni Letterarie…

Un messaggio è quello di guardare il mondo dei nostri ragazzi e della letteratura non con un occhio così critico. Quello che a me piacerebbe è che si guardasse questa trasformazione epocale con positività, non so come spiegare, ma non vorrei demonizzare questi strumenti come gli oggetti del diavolo che rovineranno il mondo intero, ma capire che sono semplicemente strumenti fanno parte ormai della nostra vita e che dobbiamo usarli al meglio. Se noi li useremo al meglio sicuramente ci saranno dei benefici eccezionali, perché non avere fiducia nei nostri ragazzi o non dare ai ragazzi la fiducia verso se stessi e verso la scuola è dannosissimo. Noi dobbiamo far capire ai ragazzi che proprio grazie a queste tecnologie loro potranno veramente diventare protagonisti consapevoli del loro sapere, raggiungere quelle competenze che serviranno loro per avere conquista di un mondo che oggi non li accoglie positivamente. Credo sia un bel messaggio da dare ai ragazzi, quella speranza di cui parlavamo prima.

Tonia Zito

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