Attualità

L’Italia, i caccia F-35 e le elezioni 2013: quando anche le armi parlano agli elettori, alle coscienze e svelano il lato oscuro della cultura

Scritto da Maria

“In mezzo alle armi, le leggi tacciono” sosteneva Cicerone. Oggi gli italiani devono, invece, aggiungere altro all’affermazione del famoso oratore romano. Sì, perché in campagna elettorale le armi parlano. Parlano e ci raccontano ancora una volta un’Italia che non ci piace, un’Italia che non aderisce alle aspettative dei suoi abitanti. Nell’occhio del ciclone in questi giorni di “combattimenti all’ultimo voto” è finito l’F-35. E poiché la politica sembra occuparsi o fingere di occuparsi onnicomprensivamente di tutti i problemi del Paese solo quando si è in campagna elettorale, ecco che il caccia F-35 diventa l’ennesimo argomento adatto a sollevare il polverone della polemica, una polemica che ci aspettiamo, considerata la maniera italiana di fare politica, rimarrà fine a se stessa. Quanti di voi sono disposti a scommettere?

Diamo una rispolverata alla questione. L’F35 è un nuovo e ambizioso modello di cacciabombardiere che le forze armate americane hanno progettato e per realizzare il quale hanno coinvolto i loro alleati, tra cui l’Italia che ne assembla le ali nell’impianto Alenia-Aermacchi di Cameri vicino Novara.

Nel complesso, gli Usa e i loro alleati intendono costruirne 2.443 esemplari a un costo globale e provvisorio di 323 miliardi di dollari. Per l’Italia si parla di un investimento di 200 milioni di dollari ad aereo, un investimento sostenuto per un presunto tornaconto in termini di occupazione e per una supposta sua indispensabilità, almeno a dar credito all’Aeronautica militare, che lo definisce lo strumento di difesa aerea del futuro.

Nulla o quasi da eccepire, se si esclude quella che forse per alcuni è una questione secondaria, ovvero la liceità o meno di spendere-sprecare tanto denaro pubblico che potrebbe essere impiegato, a livello mondiale, per cause che facciano più onore al genere umano.

Dicevamo nulla da eccepire o quasi. Pochi giorni fa, infatti, il Pentagono ha sospeso i voli della versione per i Marines, la ‘B’, del caccia-bombardiere ‘stealth’ F-35 Jsf. Ufficialmente la causa dello stop sarebbe un problema registrato durante un volo di addestramento della Usa Air Force: ‘qualcosa’ ha causato lo spegnimento del sistema propulsivo, costringendo il pilota a interrompere il decollo all’improvviso. Il blocco riguarda tutti i F-35 ‘B’ finora realizzati, di cui l’Italia dovrebbe comprare esemplari. Altra nota dolente che si aggiunge a questa sembra essere la decisione di Canada, Olanda, Turchia, Australia di rinunciare all’acquisto di questi caccia F-35, prodotti dalla statunitense Lockheed Martin, perché troppo cari e con performance non all’altezza delle previsioni.

Questi i retroscena. Veniamo alle reazioni del mondo politico italiano che tirano in ballo la questione per un pugno di voti. Addirittura ieri, giovedì 7 febbraio, Antonio Ingroia si è recato nei pressi dell’aeroporto militare di Cameri per discutere e dire la sua sulle spese militari e sul progetto F-35. Questa la sua posizione:

Le politiche di Berlusconi e Monti hanno caricato la crisi sulle spalle delle fasce più deboli, senza torcere un capello ai poteri forti, come la lobby delle armi. Scandaloso l’esempio dell’acquisto dei cacciabombardieri F-35, per il quale il Governo si è impegnato a sborsare circa 13 miliardi di euro. Si tratta di uno spreco di denaro pubblico. In prossimità della campagna elettorale sono sbucati come funghi i pentiti dell’ultima ora che, per accaparrarsi voti, hanno gridato al taglio del numero degli F-35, pur avendone votato l’acquisto in Parlamento. Non è pensabile chiedere sacrifici agli italiani mentre sopravvivono voci di spesa discutibili e inutili come quella dei cacciabombardieri F-35. Anche perché ormai è chiaro che sul territorio non porteranno alcunché. È vero che il progetto è già avviato, ma conviene interromperlo ora: proseguire sarebbe ancora più oneroso.

Queste affermazioni ci relegano in un’inquietudine profonda che ha due matrici, una politica e l’altra culturale, ammesso che l’una sia scindibile dall’altra, e due orizzonti diversi, uno locale e l’altro internazionale.

Da un punto di vista politico strettamente italiano, infatti, non si capisce come e perché, ma soprattutto prevedendo quali benefici (visto che non è stato assunto nessun operaio – quelli impiegati a Cameri vengono dall’Alenia di Caselle –  né si creeranno in futuro i 10.000 posti di lavoro promessi-previsti) si sia deciso di sostenere un investimento contro cui tutti sembrano ora fare marcia indietro, verso cui tutti sembrano sfoderare belle parole pacifiste e allo stesso tempo non saper o non voler prendere una posizione netta, chiara, trasparente. Nessuno può o sa nemmeno fare una previsione di spesa, ma compito di chi decide di investire in qualcosa non è fare un business plan? Messi sulla bilancia pro e contro, la risposta di chi ci rappresenta o dovrebbe farlo è sempre “ni” – “so”. Perché fingere di scegliere è più semplice che scegliere, perché lasciar scegliere è meglio che assumersi la responsabilità di scegliere. A ogni occasione la politica italiana ricalca l’impresa di Penelope e si mette a filare e sfilare la tela. Peccato che questo non sia più il tempo di imprese epiche, ma di sacrificio e onestà!

Da un punto di vista culturale e internazionale, invece, verrebbe da chiedersi che cosa la storia abbia insegnato e se la storia abbia ancora un ruolo di maestra, se l’intelligentia, quella di natura umanistica e scientifica, diano un valore salvifico o distruttivo alla conoscenza umana, se la parola pace abbia un senso o se sia solo il complemento del prestigioso, e a questo punto ipocrita, Nobel.

Non vogliamo tirare noi le somme, fatelo voi criticamente e nel chiuso delle vostre coscienze. Vi suggeriamo solo, in chiusura, un passo profetico di Italo Svevo tratto da La coscienza di Zeno, tante volte letto, tante volte dimenticato, come tutta la letteratura, come tutte le parole che fondano.

Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo […] Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. […] Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. E un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.

 Maria Mancusi

Immagine di Mazaispuukainais

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